Last Updated on 14 Marzo 2013 by CB
In un Paese che ha pochissima attenzione e cura delle diversità – dalle barriere architettoniche ai diritti civili gli esempi sono molti – e che oramai da decenni si è adagiato su una colpevole indifferenza per la musica classica e il suo insegnamento, questo documentario colpisce nel segno due volte. Lo fa raccontando la storia della milanese Orchestra sinfonica Esagramma. I suoi musicisti sono ragazzi e adulti con problemi psichici e mentali gravi, ed educatori che insegnano a suonare e ad amare il pianoforte, il violoncello, l’arpa, il violino, i timpani… Questo documentario è il luminoso racconto di persone che – come ci spiegano le autrici – “hanno l’inconsapevole coraggio dell’imperfezione”, e che ci fanno vedere la disabilità da una prospettiva “attenta alle possibilità e non alle mancanze”. E non è poco.
Da qualche settimana il documentario è on line all’indirizzo:
www.allegromoderato.it
Il trailer
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Intervista a Patrizia Santangeli e Raffaella Milazzo
Questo documentario racconta della diversità un lato sorprendentemente armonico e vivace, in contrasto con il cliché del malato mentale come persona alienata e sofferente. Com’è nata l’idea di realizzarlo?
Patrizia – Tutto è nato da un articolo che parlava dell’orchestra, ma prima ancora da un videoclip dei Sigur Ròs, dove un gruppo di ragazzi down vestiti da angeli eseguivano una sorta di danza circondati dalla natura. Rimasi senza parole nel vederlo e così nacque la voglia di fare qualcosa nel mondo della disabilità.
Raffaella – La prima volta che siamo entrate nella scuola, l’urgenza di raccontarne la storia è stata molto forte, incredibilmente l’aspetto più evidente era quello musicale, non quello di cura o assistenza. Abbiamo capito subito che passione, ritmo, entusiasmo insieme a fatica, impegno e rigore sarebbero state le dimensioni portanti di un racconto che chiedeva di essere disvelato.
La musica è vissuta da questi ragazzi con una disinvoltura entusiasta davvero commovente. Quali difficoltà e timidezze avete incontrato nel cogliere le situazioni?
Patrizia – Direi che difficoltà e timidezze riguardavano principalmente noi che facevamo di tutto per non intralciare il loro modo di essere e di suonare. Cercavamo di adeguarci e durante le riprese capitava che, di fronte a reazioni impreviste dei ragazzi, io, Raffaella e Stefano (direttore della fotografia di Allegro) ci scambiassimo sguardi come per dire “e adesso che facciamo?”. Insomma, il documentario l’hanno guidato i musicisti, noi non abbiamo opposto resistenza.
Raffaella – Siamo entrati nella scuola senza attrezzature per non aggiungere alla timidezza del non conoscersi la distanza che provoca la videocamera. E così, per un po’, abbiamo cercato di entrare in relazione con quelli che sarebbero diventati i protagonisti della storia. Era necessario che tutti si abituassero alla nostra presenza fino a renderci quasi invisibili e portare sullo schermo una realtà meno condizionata possibile.
Il documentario descrive molto bene la ‘fisicità’ della musica e le emozioni che suscita. Quanto pensa sia importante questa pratica collettiva per loro?
Patrizia – Far parte di un insieme unito dalla forza della musica lo trovo esaltante. Tutto quello che viene fuori da ogni loro concerto è unico, non si ripeterà mai più. Loro, hanno l’inconsapevole coraggio dell’imperfezione e a noi, sempre in cerca della rassicurante normalità, non resta che ascoltare e imparare.
Raffaella – L’energia che si percepisce quando si assiste alle lezioni è incredibile. Credo che niente possa dare più fiducia e forza che la consapevolezza di saper fare qualcosa, di saperlo fare insieme e per qualcuno che ti guarda.
Il documentario è stato realizzato qualche anno fa. Che reazioni ha avuto e ha?
Patrizia – Dopo le proiezioni pubbliche le persone ci ringraziano perché ciò che rimane dopo i titoli di coda è un senso di possibilità, di apertura. È un documentario che lascia un punto di vista in più e qualche nuova domanda.
Raffaella – Gli spettatori solitamente lasciano la sala con il sorriso, entusiasti, stupiti ed anche leggeri. Molto spesso affezionati a un protagonista piuttosto che ad un altro, interessati a volerne sapere di più.
Cosa vi è rimasto di questa esperienza?
Patrizia – Io sono molto orgogliosa di quell’esperienza e con Raffaella e molti di coloro che parteciparono al progetto, continuiamo a seguire l’orchestra con il nostro lavoro. La soddisfazione più grande è che gran parte dei musicisti protagonisti del documentario adesso sono l’Orchestra AllegroModerato. Se me l’avessero detto qualche anno fa non ci avrei mai creduto.
Raffaella – E’ rimasto sicuramente il legame con l’orchestra che oggi ha scelto AllegroModerato come nome. E’ rimasta la consapevolezza del valore enorme del lavorare insieme, loro come orchestra e noi come troupe.
È rimasta la soddisfazione di aver parlato di disabilità scegliendo una prospettiva differente attenta alle possibilità e non alle mancanze.
Il sito dell’orchestra AllegroModerato