Last Updated on 7 Dicembre 2013 by CB
Blue Jasmine riporta Woody Allen alla sua ispirazione bergmaniana. Due foto a confronto – Cate Blanchett e Liv Ulmann in Persona – mostrano una simile sofferenza interrogativa. Come in Persona, il tema è il racconto di un’identità a pezzi, che ricorda quell’Harry protagonista di un altro film di Woody. Ma qui Jasmine non è ripresa fuori fuoco per far capire la crisi, basta la bravura della Blachett – sprofondata da ricca wasp a nullatenente – per raccontare la sua sfasatura. Con il crollo del suo matrimonio non ha più alibi per non guardarsi dentro. In mancanza di altro si limita a continuare a mentire, se non più a se stessa, almeno agli altri, almeno al nuovo boyfriend, giusto per irretirlo meglio. Il monologo delirante finale è un finale aperto. Sull’abisso della coscienza, tra frammenti di ricordi, Xanax, Martini, totale spaesamento. Sulla fatica di esser-ci dopo aver inanellato tanti comodi e chic ‘come se’. Dove l’Altro – esilarante incipit – è solo un pretesto per far tracimare il proprio ego, ora ferito e prima esaltato. Allen torna a raccontare il lato d’ombra – in sintonia con la sua natura malinconica – come in Match point e Crimini e misfatti. E Cate Blanchett mostra la disperata impotenza della ‘persona’, ma senza maschere.