Cacciati dai palazzi

Last Updated on 25 Giugno 2012 by CB

Gli artisti “sono stati cacciati via dai palazzi qualche tempo fa. Nell’attuale sistema economico e culturale, le uniche persone che oggi hanno raggiunto l’altezza di un
Michelangelo o di un Raffaello sono i produttori di film commerciali, gente come Steven Spielberg, che può entrare alla Casa Bianca ogni volta che vuole. Io non posso entrarvi; eppure i miei colleghi del Rinascimento potevano camminare proprio dentro il Palazzo dei Medici, per parlare con loro”. Lo afferma l’artista statunitense Bill Viola, 61 anni, pioniere della videoart, in un’intervista  La Civiltà Cattolica con il titolo “Corpi di luce”.

Viola si è occupato sin dal tempo dei suoi studi soprattutto di sempre nuove innovazioni tecniche e concettuali, con film sperimentali e con musica elettronica. Per lui in modo particolare la parola latina ‘video’ delina un’intensa esperienza. Essa descrive come l’uomo, con i sensi e la ragione, si avvicina alla realtà che sta dietro le cose visibili. Queste, per lui, sono portatrici di una vita propria. Per Bill Viola, gli artisti contemporanei hanno avuto in sorte di essere messi nel “salone dei rifiutati”, che a suo avviso conferisce “un altro tipo di forza e di potenza”. “Proprio come i mistici, che erano stati anch’essi messi da parte, perché erano pazzi e non prestavano attenzione all’ordine dell’ortodossia”.

A parere di Bill Viola quella tra gli artisti e i mistici è “un’analogia molto interessante, perché il modo di procedere secondo la prospettiva americana è attraverso l’individuo,
e questo non è, per così dire, una cosa sana, ma a volte è necessario”. “Per esempio, quando accadono grandi rivoluzioni, in qualsiasi campo, c’è un certo gruppo di persone che vede qualcosa che tutta la società non vede più. Le grandi istituzioni sono troppo
grandi, troppo statiche e troppo chiuse per poterlo notare. E così questa crescita costante delle cose e la creazione delle cose sono importanti, e l’individuo ha un ruolo enorme in ciò”, osserva l’artista.

“C’è stato un tempo, non certo nella scuola di arte, in cui tutto era incentrato sulle immagini e sulle tecniche di apprendimento. Ma poi, quando ero sulla quarantina, ho cominciato a capire che queste macchine, con cui siamo in fase di registrazione in questo momento, sono macchine molto semplici, che sono capaci di catturare la luce. Esse sono in grado di prendere i fotoni di luce che sono in giro nel cosmo e anche queste onde sonore che stanno venendo fuori dalla nostra bocca e nel mondo. E possono effettivamente catturare questi elementi, conservarli e, in un secondo momento, riprodurli. Questo è un processo molto misterioso e bello che, come penso, non sarò mai veramente in grado di capire. Non voglio analizzarlo troppo, ma è davvero importante. A un certo punto ho cominciato a capire che le immagini in definitiva non erano veramente visibili”.

“Ho trascorso la maggior parte della mia giovinezza a riprendere il mondo intorno a me. Una volta ho ripreso l’immagine di un albero. Io amo gli alberi… Sono uscito, e ho filmato
un albero. L’ho visto più tardi sul mio video-schermo: era bellissimo! Mi sono sentito soddisfatto. A un certo punto, però, non mi sono sentito più soddisfatto, perché continuavo a chiedermi: che cosa c’è sotto l’albero? Che cosa c’è dentro quell’albero? Perché è qui? E ovviamente mi sono reso conto che quell’albero, come tutte le cose, è una struttura temporale, passeggera. Se si va avanti di un migliaio di anni, l’albero non ci sarà”.

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