Last Updated on 18 Settembre 2005 by CB
Si parla molto, ultimamente, della funzione della critica letteraria, dibattito scaturito anche dalla pubblicazione di Eutanasia della critica di Mario Lavagetto. Al Festivaletteratura, che proprio al confronto critici-scrittori ha dedicato una serie di conferenze, abbiamo incontrato Carla Benedetti.
L’intervista di Cristina Bolzani
Carla Benedetti, critico letterario e studiosa di alcuni importanti autori italiani – Calvino Pasolini e Gadda per citarne alcuni. Che cos’è un critico letterario?
E’ una bella domanda! E difficile rispondere in poco tempo. Io non mi sento un critico letterario nell’accezione che si dà sempre a questo termine, nel senso che a me è capitato di interessarmi di alcuni scrittori – anche contemporanei, anche viventi – però sempre a partire da problemi che il mondo contemporaneo mi pone, anche in un’ ottica da critico della cultura, di teorico della letteratura, eccetera.
Quindi mi sembra che ci sia un’idea molto riduttiva quando si pensa al critico letterario come a colui che recensisce il libro per dire semplicemente se questo vale o no; come un giudice in tribunale o come un professore in cattedra che dà il voto agli scrittori. E’ un’idea piuttosto immiserente, a volte anche caricaturale. Se è questa la critica letteraria non mi piace definirmi tale.
Le responsabilità della critica sono tante. Una è anche quella di aver ripetuto per decenni che in Italia non ci sono più scrittori, che non ci sono più intellettuali, che la poesia è morta, che il teatro è morto; che insomma la letteratura non poteva dar niente. In questo modo ha anche abbassato le attese. Ma nello stesso tempo, abbassando le attese e svuotando il campo, non è che questo campo è rimasto vuoto, è stato riempito da tutta una serie di libri inerti, clonati, che vengono anche poi presentati come gli unici possibili: cosa falsa.
I canali della comunicazione, della circolazione culturale sono invasi da una serie di materiali inerti. Si parla di clonazione per la biologia, per gli individui, ma esiste anche una clonazione delle idee che è altrettanto pericolosa per il mondo, oltre che per la cultura. Mi sembra che ci sia una grossa tendenza, anche da parte di chi dovrebbe aprire prospettive, invece a fare una sorta di ‘guardiano dell’esistente’, e a cercare soltanto ciò che già ci si aspetta. Del resto abbiamo passato decenni con l’idea che il ‘nuovo’ è morto, non c’è più niente, non c’è più niente da aspettarsi. E poi con tutti questi che teorizzano, appunto, che non ci sono più le condizioni di possibilità per la poesia, per la letteratura, per l’espressione individuale; addirittura scrittori anche, che sostengono che lo scrittore è soltanto un artigiano e non un artista. Insomma, tutta una serie di elementi che fanno pensare che ci sia anche una repressione della possibilità che la letteraturaha, che ha sempre avuto e non si capisce per quale ragione, oggi, per quale circostanza storica non dovrebbe più avere. Magari, perché, non so, gli uomini hanno cominciato a nascere con minori capacità cerebrali e quindi non possono più produrre libri della grandezza di quelli del passato.
Volendo cercare dei responsabili di questa ‘promozione della clonazione’ nei libri, potremmo parlare delle case editrici, oppure di un discorso diverso in termini anche di marketing, di gusto delle persone? Quali sono i responsabili maggiori di questo appiattimento, che lei sta descrivendo, sul già visto che viene continuamente riprodotto, senza altri elementi?
Guardi io non parlerei soltanto di appiattimento, io credo che ci siano veramente delle macchine di ottundimento, che quindi passano anche per il campo della cultura. I responsabili non è che si possano indicare in un solo campo. Naturalmente ci sono fenomeni di mutazione dappertutto, anche nel campo dell’editoria, è ovvio. Anche nel campo della circolazione della cultura, anche nel campo appunto di quei luoghi in cui di solito si facevano recensioni, con prospettive, interessi per ciò che di nuovo e di importante stava avvenendo.
Un caso semplice, su cui forse non si è mai ancora riflettuto abbastanza: da pochi anni i grandi quotidiani sono diventati editori. Pubblicano, ripubblinao i classici, però ripubblicano anche i best seller, e ovviamente ogni volta le pagine culturali di questi giornali si riempiono di recensioni di questi best seller. E quindi anche in questo caso si vede questo fenomeno che è abbastanza diffuso per cui la recensione non è più distinguibile dalla promozione. Spesso sta succedendo così in certi spazi, però è una cosa che non è generalizzata. Spazi che si chiudono, altri che se ne aprono.
Lei ha parlato prima di testo ‘inerte’ e testo ‘vivo’ Che cosa dobbiamo riconoscere per capire che siamo di fronte a un testo ‘vivo’? Può farci qualche nome di autori che potremmo cominciare a vedere con un’attenzione particolare?
Non c’è una ricetta per vedere qual è un testo vivo o un testo morto. L’intuito è sempre più forte di tutto, di ogni criterio. Per esempio, mi sono domandata, visto che poi c’è una grandissima diffusione in questi formati che si ripetono, di thriller – tanto che mi è venuto da parlare di ‘realismo thrillerista’ come dominante del nostro mercato editoriale – ecco, io mi sono domandata: libri del genere a chi sono diretti? Certamente non ai giovani, i giovani non è che chiedano ai libri questo piccolo mistero controllato del morto e dell’assassino da cercare, che poi finisce sempre bene. Tutte queste domande sul mondo e sul futuro, inquietanti, in questo contesto di dispiegamento di macchine folli del pianeta, di distruzione, di aggressione, di inquinamento, di impoverimento, che tolgono anche alimento spirituale… Ecco, un giovane lettore si rivolge forse a questi libri rimanendone soddisfatto? Io credo che sia più che altro produzione per adulti assuefatti. Il piacere della lettura è qualcosa che non può essere esaurito semplicemente dal trovare nel libro il meccanismo avvincente della suspense. Il piacere della lettura è fatto di emozioni grandissime, cioè vastissime. Quindi, il libro ‘inerte’: uno legge il libro, lo chiude e dopo è più stupido di prima: ecco, quello è il libro inerte.
Per esempio quale scrittore l’ha colpita in modo particolare e secondo lei è interessante, da seguire anche nei prossimi anni?
Le posso fare il nome di uno scrittore che ho seguito fin dall’inizio, dai primi libri che ha pubblicato, e che è stato abbastanza controverso e anche stroncato da questo tipo di sistema di distribuzione di informazione culturale. Parlo di Antonio Moresco, autore di libri secondo me molto importanti, anche uno scrittore a tutto campo, anche un critico della cultura, e soprattutto che passa anche attraverso questo momento che ormai è diventato eversivo in questo contesto che prima stavo descrivendo: cioè il momento dell’invenzione di una forma. Molti altri scrittori giovani esordienti mi hanno interessato; ne ho parlato in una rubrica che tengo per l’Espresso, ne ho parlato nel blog Nazione Indiana. Dare un elenco di nomi così su due piedi mi sembra sempre molto antipatico; ho una resistenza incredibile perché mi sembra appunto di concedere troppo a questa funzione caricaturalizzata del critico, che è lì che dà i voti, questo è interessante questo no… Io le posso dire i nomi di alcuni scrittori che ho recensito. Per esempio due donne esordienti – a 46 anni una – che mi hanno molto colpito: una è Toni Fachini l’altra è Luisa Carniello. Poi mi ha molto interessato il libro di Scurati, Il sopravvissuto. Poi Tiziano Scarpa, che ha scritto un bellissimo libro uscito da poco, Groppi d’amore nella scuraglia. Sergio Nelli, un altro esordiente pur non giovanissimo che ha scritto un bellissimo diario.
Carla Benedetti
Uno dei maggiori critici letterari italiani, ha conseguito il dottorato in Semiologia della letteratura presso l’Ecole des Hautes Etudes di Parigi nel 1984 e dal 1989 è professore ordinario di Letteratura Italiana moderna e contemporanea. Ha insegnato alla New York University in qualità di Recurrent visiting Professor, all’Università di Pavia, e dal 1993 ricopre una cattedra all’Università di Pisa. La sua attività di ricerca si è incentrata sulla narrativa otto-novecentesca, in particolar modo sul racconto fantastico ottocentesco e con monografie su Proust, Svevo, Gadda, Calvino, Celati, Parise, Pasolini; su alcuni temi di teoria della letteratura quali i generi letterari, le poetiche, la funzione-autore, la forma aforistica e le forme brevi; le teorie della comunicazione e teoria dei sistemi; l’estetica, indagando concetti quali il sublime, la grazia e le forme della temporalità. Della sua più recente attività sono da ricordare in particolar modo la partecipazione al convegno e poi al volume collettivo Scrivere sul fronte occidentale (Feltrinelli, 2002) e la fondazione, insieme ad altri, della rivista Nazione indiana (consultabile in rete). Tiene inoltre la rubrica Il romanzo sul settimanale L’Espresso.
Bibliografia sintetica
La soggettività nel racconto. Proust e Svevo, Liguori, 1984
Una trappola di parole. Lettura del ‘Pasticciaccio’, ETS, 1980
Modi di attribuzione. Filosofia e teoria dei sistemi, con Rino Genovese e Paolo Garbolino, Liguori, 1989
Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Bollati Boringhieri, 1998
L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata, Feltrinelli, 1999
Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri, 2002
Quattro porte sul Petrolio, 2003 The Empty Cage. Inquiry into the Misterious Disappearence of the Author, Cornell University Press, 2005