Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB
«L’idea secondo la quale la fotografia, strumento psico-chimico di riproduzione, sarebbe stata una semplice questione di tecnica e dunque ‘da uomini’, è tenace». Le prime righe del catalogo fanno intuire l’obbiettivo ambizioso della mostra spettacolare Qui a peur des femmes photographes? al Musée d’Orsay; abbattere un pregiudizio e colmare una lacuna. Per dimostrare, parafrasando il titolo del dramma di Albee, che è arrivato il momento di dare visibilità e riconoscimento a queste fotografe.

Nell’elegante allestimento di taglio rigorosamente storico si susseguono circa quattrocento immagini, che documentano come, con varietà di sguardi, stili e interessi, abbiano saputo conquistarsi una legittimità in una pratica artistica dominata dagli uomini. Dilettanti o professioniste, le fotografe con originalità nell’approccio e negli intenti colgono dettagli quotidiani, guerre, paesaggi, ritratti. (Peraltro la riscoperta delle fotografe è in corso da un po’ di tempo. La mostra di Vivian Maier che approda a Milano è sì un caso a parte per la sua eccentrica storia, ma è anche emblematica di un nuovo interesse per le fotografe. A parte ‘miti’ come Diane Arbus e Francesca Woodman, di recente sono state valorizzate tre figure poco note (sono anche nella mostra): Florence Henri, Germaine Krull, Christina Broom.
La mostra – divisa in due parti: 1838-1919 al Musée de l’Orangerie e 1838-1945 al Musée d’Orsay – alterna nomi conosciuti ad altri meno noti. Le fotografe tra le due guerre hanno un approccio più professionale, lavorano per la moda, la pubblicità, i giornali; le famose sono Berenice Abbott, Margaret Bourke-White, Leni Riefenstahl, Tina Modotti, Gisèle Freund, Lee Miller, Annemarie Schwarzenbach. Escono dai confini delle loro case, sconvolgono i canoni artistici, affrontano gli ambiti per tradizione riservati agli uomini, come erotismo e nudo. E introducono una distanza critica sulla loro condizione.

Al Musée de l’Orangerie, invece, si scoprono le opere degli inizi della fotografia, dal 1839 al 1919. «In questa sezione, – scrive Thomas Galifot nel catalogo – per studiare l’incidenza dell’identità sessuale sulla produzione fotografica, sono presi in esame capolavori come foto inedite, non tanto per verificare l’esistenza di una visione femminile, ma piuttosto in termini di territori e strategie: territori di generi – fisici e simbolici; strategie di successo critico o commerciale, di allargamento dei perimetri del fotografabile».
Constance Fox Talbot, moglie di William Henry Fox Talbot – figura chiave nell’evoluzione della fotografia negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento – è considerata la prima fotografa, pratica in cui si cimentò già nel 1839 ( la sua prima fotografia è del poeta irlandese Thomas Moore). Altri nomi rilevanti sono Julia Margaret Cameron, Lady Clementina Hawarden, Imogen Cunningham, Gertrude Käsebier. Facendo notare, quest’ultima, come la prevalenza della figura femminile e di bambini i confini significasse come per molto tempo la fotografia femminile sia stata confinata nel territorio domestico. E abbia indugiato – ma questo fino all’età contemporanea, basta pensare agli scatti di Francesca Woodman – sugli autoritratti allo specchio: un interrogarsi e affermare, rappresentandosi, se stesse nel mondo.