Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB
Al Palazzo delle Esposizioni torna dopo oltre quindici anni David LaChapelle con una delle più importanti e vaste retrospettive a lui dedicate. Saranno infatti esposte circa 150 opere di cui alcune totalmente inedite, altre presentate per la prima volta in un museo e molte di grande formato. La mostra è concentrata sui suoi lavori a partire dal 2006, anno di produzione della monumentale serie The Deluge, che segna un punto di svolta profonda nel suo lavoro. Dopo, la produzione del fotografo americano si volge verso altre direzioni estetiche e concettuali. Il segnale più evidente del cambiamento è la scomparsa dai lavori seriali della presenza umana: spariscono i modelli viventi che prima (con l’eccezione di The Electric Chair del 2001, personale interpretazione dell’opera di Warhol) hanno avuto una parte centrale. Le serie Car Crash, Negative Currencies, Hearth Laughs in Flowers, Gas Stations, Land Scape – fino alla più recente Aristocracy – seguono questa nuova scelta formale: LaChapelle cancella clamorosamente la carne, elemento tipico della sua arte.
Così il fotografo commenta la celebre foto Museum.

«Museum. Parliamo di questa foto. Ancora una volta a predominare è la potenza distruttrice di una forza più grande di noi. L’acqua invade gli spazi del museo, lo rende impraticabile ma salva i capolavori, che sono tuttavia abbandonati a se stessi. Quest’acqua ha un potere di purificazione? Fai riferimento al sistema dell’arte e al fatto che questo spesso considera l’arte una merce come un’altra?
Al giorno d’oggi il mercato dell’arte è pieno di collezionisti frenetici e nel mercato, negli ultimi cinque anni, è entrato in circolo denaro nuovo, e a ogni asta si battono dei record, in materia di prezzi. La mercificazione dell’arte e degli artisti non era mai arrivata a questi livelli. Per gli artisti la tentazione di farsi comprare e di produrre opere per questo mercato non è mai stata tanto forte. L’idea alla base delle foto della serie Museum era qualcosa che riguardava l’idea di proprietà. Se siamo proprietari di un’opera d’arte, ne siamo anche icustodi. Ci diciamo che è nostra, ma in realtà ne siamo i custodi per un periodo di tempo. Alla fine, quanto verrà il Diluvio, resteranno le opere d’arte. I proprietari saranno completamente dimenticati. Una parte di quelle immagini trattava proprio l’idea materialistica del possesso dell’arte e la frenesia del mondo dell’arte. Tutto è in uno stato di passaggio, di movimento. Le immagini nel museo allagato dal Diluvio sono allo stesso tempo inestimabili e prive di valore. Durante un’alluvione o una calamità puoi anche afferrarti al tuo dipinto, ma non è un tronco a cui aggrapparsi, non ti tiene a galla. L’idea che il nome delle persone continui a vivere attraverso le loro opere d’arte, o attraverso le loro collezioni di opere d’arte, è un mito che ci raccontiamo per consolarci davanti alla morte.» (da intervista qui)
