Google Story

Last Updated on 22 Febbraio 2006 by CB

Era da quando Gutemberg inventò la stampa oltre 500 anni fa, rendendo libri e tomi scientifici facilmente disponibili ai lettori, che un’invenzione non trasformava la potenzialità delle persone e il loro accesso alle informazioni come ha fatto Google. Con toni decisamente altisonanti comincia l’ormai leggendaria avventura dei due rampolli dell’informatica, Larry Page e Sergey Brin. La loro storia è raccontata dal Pulitzer David Vise (insieme con Mark Malseed) e ha la prefazione di Roberto Vacca. Lo abbiamo intervistato.

Intervista di Cristina Bolzani

Nella sua introduzione fa il nome di Mozart e dice che in qualche modo noi dobbiamo essere grati agli autori di questo motore di ricerca. Qual è il senso di questa sua battuta?
La storia è che qualcuno ha proposto di santificare Mozart per la meraviglia delle sue musiche, poi non fu santificato per varie ragioni. Ma la mia tesi è che questi due ragazzi, Brin e Page, meriterebbero di essere santificati ben più di Mozart perché hanno beneficato tanta gente.

Questo manuale non esisteva, l’ha scritto adesso questo signor Vise. Il libro Google Story racconta proprio quello che hanno fatto questi due giovanotti che hanno capito molto, hanno realizzato in un certo senso un progresso importante sul cammino dell’intelligenza artificiale. Perché reperire informazioni, information retrieval – problema che per decenni non era stato risolto – lo hanno risolto trovando informazioni e facendo in modo che qualunque cosa ci interessi possa essere ritrovata su questo mare enorme della Rete in tempi brevissimi, utilizzando la matematica che loro hanno inventato e utilizzando anche una struttura di computer che attualmente comprende quasi 200mila computer che lavorano in parallelo.

Dal punto di vista scientifico qual è l’elemento che ha reso il motore di ricerca Google vincente rispetto ad altri motori di ricerca, in un settore che è in continuo sviluppo?
Questo non si può dire in brevi parole, è una situazione abbastanza complessa. Ha richiesto la comprensione di com’è la struttura della rete di Internet. E’ una struttura molto complessa in cui un link nuovo non va a connettersi a caso ma si connette con maggior probabilità agli altri link che già hanno un numero di link molto elevato, e che hanno un certo interesse. Detto questo, trovare il sistema matematico-informatico per il quale da certe parole-chiave si risale soltanto ai documenti, agli oggetti che abbiano veramente un interesse e non a quelli trascurabili, è cosa molto complessa. E chi l’ha capita ci ha guadagnato un miliardo di dollari.

Ma è vero che le voci che vengono trovate con Google vengono indicizzate sulla base della frequenza di accesso alle voci stesse, per cui abbiamo in sostanza un indice decrescente, e questo ha reso più facile l’utilizzo dello strumento?
No, non è soltanto così. L’altra cosa molto abile che fa Google è che accanto alle informazioni che fornisce all’utente, il quale non paga nulla, vengono inseriti nel terzo di destra della schermata punti di pubblicità di alcuni oggetti o servizi che hanno attinmenza con la cosa che l’utente sta ricercando. Google fa soldi soltanto quando qualche utente va a cliccare su queste pubblicità e allora quelli che hanno inserito la pubblicità pagano un tanto a Google, che è variabile a secondo di quanto alta è la desiderabilità o, sì, la frequenza con cui viene scelta quella particolare parola-chiave.

Che tipo di evoluzione potrà avere questo strumento?
E’ molto difficile dirlo perché ci sono molte cose che stanno uscendo, inventate adesso. Questo progresso notevole i ragazzi di Google l’hanno fatto non più di sette-otto anni fa. Perciò cosà potra accadere in avvenire è molto difficile dirlo.

L’altra cosa che ci stiamo attendendo è la Rete semantica. Ci sta lavorando Sir Tim Berners-Lee, l’inventore del WorldWideWeb, e dovrebbe essere una rete nella quale le cose che noi cerchiamo vengono capite veramente dalle macchine, e per capirle ogni parola che viene inserita in un testo deve recare una specie di cartellino che spiega di che cosa si tratta: se è un numero sono anni, sono soldi, sono dollari, sono euro, oppure sono percentuali, sono indirizzi, o sono conti in banca e così via. Questa innovazione alla quale Berners-Lee lavora da qualche anno, è molto complessa e richiederà di ricodificare tutto il contenuto della Rete, perciò non c’è da attendersi che questo progresso ulteriore avvenga molto presto.

C’è qualcosa in questa vicenda felice dei due creatori di Google che lei si sente di indicare come qualcosa da incentivare anche nel nostro mondo a livello scientifico, a livello di ricerca, per arrivare a evolvere sulla Rete?
Posso dare una ciliegina sulla torta. Google è molto efficace, molto efficiente, lo adoperano tutti. Io lo adopero attraverso un altro meta-motore che si chiama Clusty, che usa Google, usa anche tutti gli altri motori di ricerca, però fornisce le cose che ha trovato non a sfascio, a carrettate, ma classificate in alcune decine di classi, il che permette di ridurre molto i tempi di analisi.

da Google Story
«Quando Larry incontrò Sergey nella primavera del 1995, qualcosa subito scattò. Nonostante le differenze, non c’era modo di negare l’alchimia e l’energia che sprigionavano insieme. Avvenne durante l’orientamento per nuovi studenti a Stanford, e Sergey stava mostrando a Larry e ad altri futuri studenti graduate il soleggiato campus dell’università e il suo circondario. All’improvviso i due cominciarono a litigare su argomenti casuali. Sembrò un momento balzano per una controversia tra due persone che a malapena si conoscevano; volarono scintille, ma di fatto ognuno dei due stava giocando al proprio gioco preferito». (…)

«In un mondo definito molto più dalla genetica e dalla tecnologia che non dalla geografia, Sergey Brin e Larry Page avevano qaulcosa di significativo in comune: provenivano entrambi dalla seconda generazione computerizzata. (…) Avevano anche altre cose in comune: la frequetazione delle scuole Montessori, che aveva accelerato la loro prima formazione; il fatto di aver vissuto vicino a importanti sedi universitarie, dove i loro padri erano stimati professori; e che anche il lavoro delle rispettive madri aveva a che fare con i computer e la tecnologia». (p.10-11)

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