Last Updated on 22 Aprile 2015 by CB
Il tema del fiore ispira la mostra collettiva The Language of Flowers, a Firenze fino al 20 settembre (Gucci Museo). Curata da Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana, la mostra riunisce le opere – foto, dipinti e installazioni – oltre che del grande Irving Penn qui presente con due dittici, di tre artisti meno noti: Marlene Dumas, Latifa Echakhch e la fotografa Valérie Belin. Opere che giocano con l’iconografia dei fiori, e che pur con una potente seduzione estetica e visiva hanno nello stesso tempo un’ambiguità delicata e profonda.

In Calendula (Marigold), 2010 e Phlox New Hybrid (with Dahlia Redskin), 2010, Valérie Belin abbina volti femminili e motivi floreali, creando una sorta di ibridi, nel senso botanico del termine, che raccontano l’ambiguità tra umanità e mondo vegetale, natura e artificio, reale e virtuale, presenza e assenza, seduzione e freddezza. Le opere fotografiche di Valérie Belin, dapprima in bianco e nero e poi a colori, indagano proprio nella tensione costante tra oggetto e corpo, natura morta e figura umana. La presenza/assenza del corpo è al centro di diverse serie, da quella sugli specchi di Venezia, tutte riflessi e trasparenze, agli abiti in pizzo o da sposa. Con le serie dedicate ai culturisti, alle spose marocchine, ai transessuali, alle donne nere e alle donne bianche, si orienta poi allo studio della figura umana, del corpo-oggetto con le sue molteplici identità.
