Essere Anna Freud

Anna Freud: figlia (prediletta) del fondatore della psicoanalisi;  psicoanalista a sua volta; teorica dei meccanismi di difesa; compagna di una ricca americana, all’inizio sua paziente; e amica (insieme al padre) di una delle più originali e irruente figure del suo tempo. Essere Anna Freud significa tenere insieme tutto questo, con understatement. Si comincia a capire il suo carattere proprio se la si vede in contrasto con la personalità ben diversa di Lou Andrea-Salomé. Un epistolario ci fa addentrare nelle differenze e nel loro rapporto speciale, sotto l’ombra del Padre.

Lou Andrea-Salomé,  «acuta come un’aquila, coraggiosa come un leone», come la descrive Nietzsche, è una figura femminile completamente diversa rispetto ad Anna: un’immagine poetica, eccentrica, quasi visionaria. Di lei un’amica di Anna Freud ha detto che era un  «diamante luccicante e nessuno degli uomini intorno a Freud era al suo livello». Lo psicoanalista svedese Poul Bjerre notava di lei quello che anche Anna sottolinea: la sua incredibile dote di comprendere l’altro immediatamente. Attivava i processi di pensiero dell’altro e la sua comprensione proseguiva oltre quello che era stato espresso. Non si meravigliava né si scandalizzava di ciò che le veniva raccontato,  «in sua presenza ci si sentiva maturare», era  «una donna appassionata ma dotata di un’intelligenza fredda e quasi maschile». Freud stesso le riconosce la capacità di capire prima di lui:  «Lei mi anticipa e mi completa», scrive alla Salomé nel 1917.  «Se mi dovessi trovare nella necessità di continuare a edificare la mia teoria, Lei potrà forse riconoscere con soddisfazione in qualche nuova idea pensieri da Lei da lungo tempo intuiti o addirittura preannunciati». Freud aveva scritto a Lou:  «Anna è inibita nei confronti degli uomini per causa mia»; sicuro dell’ammirazione di  Lou Andreas-Salomé per lui le può affidare la figlia, capisce che l’amore per Lou non l’allontanerà da lui. Anzi, pensa che un’amicizia femminile con una persona come Lou potrebbe realizzare le ambizioni di Anna. Talvolta Freud è di una disarmante franchezza a proposito dei sentimenti verso la figlia.  «Anna si comporta in modo magnifico»,  dice a Max Eitingon nell’aprile del 1921.  «E’ allegra, operosa e animata. Mi farebbe altrettanto piacere tenermela in casa quanto saperla in una casa sua. Se per lei è lo stesso!» (…)

La prima lettera del carteggio che precede di due anni la corrispondenza vera e propria, quando Anna e Lou, ancora non si sono conosciute, è un cauto ma deciso inizio.

Gottinga, 6.XII.1919

Cara Signorina Freud,

mi diverte un mondo che lei e io, d’un tratto, ci si venga a trovare in una ponderosa corrispondenza d’affari, ma di certo non è necessario che ci limitiamo a questo (per parte mia ho già sostituito l’ «egregia» con qualcosa che – espresso in termini freudiani – si potrebbe definire  «libidinoso»).  D’altronde io devo averla già incontrata, di pomeriggio, a un tè, ma lei poi sgusciò via per raggiungere altre persone. Quanto mi farebbe piacere ora recuperare l’aspetto personale, peccato che non ce ne sia un’occasione immediata. Ben volentieri sarei ritornata un’altra volta a Monaco, se non fosse che lì, in casa di Rilke, è stato bloccato il riscaldamento centrale; il fortunato si è rifugiato in Svizzera, Monaco e Vienna, in qualche modo, significano ora morire di freddo e di fame.
(…)
Saluti Suo padre di tutto cuore da parte mia, non deve pensare che io mi aspetti una lettera da parte sua, non appena ci sarà da scrivere qualcosa che in qualche modo possa interessarlo, gli scriverò di nuovo io stessa. – E anche lei e io ci scriveremo, non è vero?
Cordialmente, Lou Andreas-Salomé”

(da Legami e libertà, a cura di Francesca Molfino, La Tartaruga).

 

Presa nelle maglie e nelle reti

La metafora del lavoro a maglia è pregnante per la professione psicoanalitica dei fili interiori da intrecciare, dipanare o tagliare. Lavorare a maglia è una pratica sublimante e implicitamente auto-erotica, e simbolo di stoica attesa, come il telaio per Penelope. Anna Freud lavora sempre a maglia. Anche durante le sedute analitiche. Anche durante la malattia del padre. “Anna accompagna la malattia di Freud, e controlla l’angoscia che da essa le deriva, lavorando forsennatamente a maglia e all’uncinetto molto spesso per Lou [Andreas-Salomé, ndr], la quale lamenterà scherzosamente di venir continuamente ‘presa nelle maglie e nelle reti’ della più giovane amica” (Bocci, Anna Freud e Andreas Lou Salomé più che sorellanza).

“La maglia, il lavorare a maglia, che costituisce un po’ il filo visibile con cui lei intreccia le sue varie parti interne, le sue diverse età e storie, la segue nel percorso avviato con la scelta psicoanalitica, visto che lavorando a maglia assiste alle riunioni della società freudiana, per cui invitarla a intervenire nella discussione significa sollecitarla a posare almeno per un po’ i ferri”. (L. Bocci, ibid. p. 32). Il ricordo della nipote Sophie. ” E quando le mandai un libro con modelli a maglia, mi scrisse: ‘Studio i modelli con la stessa brama con cui studierei una nuova pubblicazione psicoanalitica. Ogni nuovo filo e ogni nuovo modello è un’avventura’ “. (Sophie Freud, Le mie tre madri e altre passioni, Bompiani 1990).

Una grande ‘tessitrice’ anche nelle trame relazionali del rapporto con l’Altro, se pure in un contesto di assoluta devozione al padre (che coincide, ed è un caso raro – fa notare Ernest Jones – con la sua imago paterna). Affronta relazioni articolate e intense. Quella di una vita con Dorothy Burlingham, e poi molte amicizie femminili – che qualcuno vuole vedere come sostituti di una madre assente; e quella con la ‘nemica’ Melanie Klein.

Anna Freud è ‘gettata’ nella rete delle relazioni fin da ragazzina, quando il padre le fa assistere le conferenze della Società psicoanalitica. Dall’età di tredici anni ascolta dibattiti su sessualità anale, incesto, masochismo, onanismo. Freud stesso la sottopone all’analisi. Lei gli farà da infermiera. Il loro legame indissolubile e sfaccettato è la prima delle sue relazioni significative. Anna è, per ammissione di Freud-Edipo, la sua Antigone (con tutta la sua pregnanza simbolica, anche di sfida alla legge del Padre). Questa giovane donna così precocemente avventuratasi nei meandri della psiche – e che a 29 anni dice: La mia vecchia tata è la più autentica e antica relazione della mia infanzia -, da quali traumi è ossessionata? Da quello di essere la figlia prediletta del padre della psicoanalisi? Certo il titolo della conferenza con cui esordisce alla Società psicoanalitica, Fantasie di percosse e sogno ad occhi aperti, con il suo contenuto edipico insito nella fantasia masturbatoria infantile dell’essere picchiati, fa pensare a un percorso evolutivo accidentato e originalissimo.

Della biografia di Anna Freud qui si vuole cogliere l’aspetto delle relazioni interpersonali, la loro ricchezza, gli snodi e le sovrapposizioni tra vita privata e pratica psicoanalitica nella sua fase germinale; intrico di affetti, relazioni professionali, sentimenti, teorie, nell’agorà disegnata una volta per tutte dall’autorevolezza paterna. Anna Freud emerge, come la psicoanalisi di quegli anni, dal caos relazionale. Basti ricordare questa catena (e infrazione deontologica peraltro diffusissima agli albori della psicoanalisi): Freud psicoanalizza la figlia, che psicoanalizza i figli (a un certo punto orfani di padre, morto suicida) di quella che sarà la sua compagna. Melanie Klein farà lo stesso con il figlio Eric.

Anche i più elementari dati biografici sembrano predestinarla all’analisi. Annerl, questo il soprannome familiare, nasce nello stesso anno in cui esce Studi sull’isteria (1895), la cui protagonista, Bertha Pappenheim, è rinominata Anna O. In comune hanno il sognare ‘ad occhi aperti’ , il disinteresse per il sesso e la filantropia. Fosse stata maschio si sarebbe chiamata Wilhelm, come quel Fliess amico del padre, il mediocre otorinolaringoiatra per il quale Freud riconoscerà, nel trasporto della sua amicizia, un latente elemento omosessuale. Sesta e ultima figlia di Freud, Anna non si sente desiderata. Dirà che se i genitori avessero conosciuto degli efficaci contraccettivi, lei non sarebbe nata“. La bambina non è allattata dalla madre (provata in modo particolare da questa maternità, Martha Bernays non ne è in grado o non desidera farlo) e non viene nemmeno assunta una balia. Dal quinto giorno della sua vita Anna Freud è nutrita con il latte intero Gärtner.

Parte da questo sentimento depresso sulla sua nascita per affrontare poi il difficile rapporto con un padre reale/ideale che la opprime e però la stimola sulla strada che le porterà un gratificante riconoscimento da psicoanalista dell’infanzia, fondatrice a sua volta di una psicoanalisi; un padre che la allontana da altri uomini e la incoraggia alle amicizie femminili. Intellettuali e/o psicoanaliste, – “quelle bellissime donne narcisiste sulle quali Freud sembrava esercitare un fascino particolare”, (P. Roazen, Freud e i suoi seguaci, Einaudi). In particolare si racconta dell’amicizia affettuosa che la lega all’affascinante Lou Andreas-Salomé, amica intima di Nietzsche e Rilke. Tra loro ci sarà un ricco carteggio. Ma si parla anche di Marie Bonaparte, Eva Rosenfeld, Marianne Kris.

Fino all’incontro di Anna Freud con la discendente della famiglia Tiffany. La lunga e costruttiva relazione con Dorothy Burlingham (sulla cui biografia poco nota ci si soffermerà) è l’approdo per Anna Freud a una vita affettiva ‘tutta per sé’, incoraggiata con decisione dal padre, che favorisce la vicinanza tra la sua famiglia e la coppia. Lo spazio dedicato a Anna Freud, nel Freud Museum di Londra, è dominato da un telaio, ed è quello di Dorothy Burlingham. 

 

Anna-Antigone, Sigmund-Edipo

 

Talvolta desidero intensamente per lei un uomo dabbene, talaltra rifuggo dall’idea di perderla.
(Molfino, Anna Freud e Andreas Lou Salomé più che sorellanza).

Anna si comporta in modo magnifico. E’ allegra, operosa e animata. Mi farebbe altrettanto piacere tenermela in casa quanto saperla in una casa sua. Se per lei è lo stesso!
(P. Gay, Freud, Bompiani).

Anna è magnifica, e del tutto indipendente sul piano intellettuale, ma non ha una vita sessuale. (Freud, Lettera a Lou Salomé, dicembre 1927).

Attraverso la sua autoanalisi, Freud arrivò a riconoscere il proprio intenso amore infantile per la madre e la sua gelosia nei confronti del padre, una condizione che definì ‘complesso di Edipo’, dalla tragedia di Sofocle Edipo re. (Psicoanalisi, R. Cortina).

Come nei delitti perfetti, la prova evidente non c’è. Nessuna case history, nessuna nota rimasta sul periodo di analisi a cui Freud sottopose la figlia. Succedeva alle dieci di sera, per sei giorni alla settimana: durò più di quattro anni. E’ vero che a quei tempi la nascente psicoanalisi si nutriva a piene mani del vissuto di parenti e amici, trasgredendo in pieno la norma che non ammette relazioni affettive o familiari tra paziente e analista. Ma colpisce che a infrangere in modo così plateale la deontologia sia proprio colui che l’ha inventata, che ha posto le basi della nuova disciplina. Tale è poi la delicatezza di quello che emerge  in Fantasia di percosse e sogni ad occhi aperti, presentato da lei come richiesta di ammissione alla Società psicoanalitica di Vienna. Anna confidava al padre di avere fantasia di percosse per un desiderio incestuoso nei suoi confronti.

Se fosse nata maschio, Anna avrebbe avuto il nome di Wilhelm Fliess, l’amico per il quale Freud sospetterà di aver provato un amore omosessuale. Il dubbio gli nasce quando si rende conto di aver rimosso un grave errore dell’amico: aver operato una donna al naso con incuria, facendole rischiare la vita. Peraltro non si comprende da Freud, se non sotto la luce di un invaghimento acritico, come possa aver tollerato le idee ossessive e a dir poco eccentriche di Fliess sulla centralità del naso come organo regolatore della sessualità.Invece è femmina e avrà il nome della sorella di Sigmund, Anna Freud Bernays: la più grande delle sorelle di Freud e l’unica che evita i campi di concentramento, e sposa del fratello di sua moglie. Anna nasce nel segno dell’isteria, con lo stesso nome del caso clinico di Anna O., pietra miliare della psicoanalisi. Qualche affinità tra Bertha Pappenheim (Anna O. è lo pseudonimo) e Anna Freud esiste. Entrambe sono sognatrici ‘a occhi aperti’, sono molto intelligenti, non hanno interesse per il sesso, curano il loro padre in una malattia terminale. Freud conta molto sulla vicinanza della figlia. Anna è sempre in sua difesa nelle querelle psicoanalitiche, cita nei suoi scritti i lavori del padre, che fa altrettanto. Come simbolicamente nella foto a destra, restano vicini e guardano con vivo interesse nella stessa direzione. In una lettera a Ferenczi – e ancora, anni dopo, in uno scambio con Stefan Zweig – da buon lettore di Sofocle Freud paragona Anna ad Antigone. Un confronto impegnativo. Se lei è Antigone Freud è Edipo.

Antigone tra i figli di Edipo è – come Anna – la compagna prescelta del padre.

 

Anna e Ernest

 

C’è un episodio della vita di Anna Freud che è stato impugnato a dimostrazione di come il padre sia stato castrante nei confronti della figlia. Il modo in cui Freud ha allontanato Anna dal suo primo corteggiatore, Ernest Jones – ben più grande di lei, fondatore della Società psicoanalitica britannica nonché futuro biografo di Sigmund – è descritto da Michel Onfray in Crepuscolo di un idolo (Ponte alle Grazie) con forte intento denigratorio. Freud si comporta in effetti con lei come un padre geloso, possessivo, tirannico. Quando, a diciannove anni, progetta di andare a Londra presso Ernest Jones, il futuro agiografo dell’eroe, Freud moltiplica i consigli castratori. Informa Jones: fuori discussione un idillio con la figlia alla quale prescrive di mantenere rigorosamente la relazione in un ambito di uguaglianza e di amicizia. Mentre lei non ha affrontato la questione affettiva o sessuale, lui la mette in guardia: deve conoscere più e meglio le cose della vita prima di pensare a un legame amoroso. Freud indica una data: non prima di cinque anni – in altre parole non prima dei ventiquattro anni. Nelle lettere preparatorie di questo soggiorno, Sigmund Freud parla a Ernest Jones della sua «unica figlia». Ricordiamo comunque che a quella data, nel 1914, Mathilde ha ventisette anni e Sophie ventuno.

Rivolgendosi ad Anna, il padre batte sullo stesso tasto: Jones (a destra nella foto) ha trentacinque anni, è un signore che ha il doppio dei suoi anni e al quale occorre una moglie di età adeguata, più esperta della vita. E poi aggiunge che, di famiglia modesta, Jones ne è uscito, «si è fatto da sé» (sic), e perciò «manca di tatto e di delicatezza». A Jones scrive a proposito di Anna: «Non si aspetta di essere trattata come una donna, in quanto è ancora lontana dal provare desideri sessuali, e tende piuttosto a rifiutare gli uomini [sic]». Al che il corrispondente inglese, futuro autore di Teoria e pratica della psicoanalisi, risponde con un elogio di Anna seguito da questa frase premonitoria: «Diventerà sicuramente una donna notevole, purché la rimozione sessuale non la danneggi» (1914).

Nella ricostruzione Onfray sottovaluta (programmaticamente) che la differenza d’età potesse ragionevolmente suggerire una sana reazione di questo tipo in un padre. Quello su cui non esagera è che Freud era in effetti possessivo e geloso della figlia, e lo sarà sempre di più, come un padre infermo della sua preziosa (utile) Antigone. Quando scopre che la figlia è stata accolta in modo caloroso da Jones al suo arrivo a Londra, le scrive questa lettera dall’effetto a tratti comico: Apprendo da fonti privilegiate che il dr. Jones ha serie intenzioni di farti la corte. E’ la prima volta nella tua giovane vita, e non ho intenzione di privarti della libertà di cui le tue due sorelle hanno goduto. Ma si dà il caso che, in confronto a loro, tu abbia avuto con noi rapporti di maggiore confidenza, e mi conforto con la speranza che per te sarà più difficile fare una scelta riguardante la tua vita senza innanzitutto assicurarti di avere il nostro (in questo caso il mio) consenso. Peraltro l’ambivalenza verso la figlia rimarrà una costante. Scrive nove anni dopo, nel maggio 1925Temo che la sua genialità repressa possa un giorno giocarle un brutto scherzo. Non riesco a liberarla da me, e nessuno mi sta aiutando.

Freud era dipendente da Anna come – lui stesso suggerisce l’analogia – dai suoi amati sigari. Simona Argentieri commenta così l’analogia. Un legame di dipendenza, dunque, fisico, categorico e regressivo, che ha ben poco di quel carattere ‘edipico’ e sessuale che egli ha così proficuamente analizzato nel rapporto tra genitori e figli; che si muove non nell’area dei rapporti oggettuali e del riconoscimento dell’altro, ma in quella dei bisogni primari. Un ‘vizio’, una amata abitudine, ma soprattutto una necessità assoluta, che prevede un totale controllo. Per di più – non a caso – questa dipendenza che prende a paragone i sigari, si muove a un livello orale; proprio – viene da pensare – in quella zona della bocca nella quale si svilupperà poi il cancro che lo condurrà dolorosamente alla morte. Anche in quel momento estremo, come sappiamo, sarà Anna a curarlo e a stargli fisicamente accanto.

 

Le madri di Annerl

 

La nascita di Anna è traumatica. Per la madre. Martha Bernays Freud cade in una profonda depressione. (foto, Sophie e, a destra, Anna) Anna è l’esempio di quanto siano importanti le vicende infantili nel segnare un destino. Nasce a a Vienna nel 1895, l’anno in cui il padre divulga le teorie sul sogno e l’inconscio. Ultima di sei figli, è convinta che con un buon metodo contraccettivo a disposizione dei suoi genitori non sarebbe nata. Oltretutto da parte di Sigmund c’era l‘aspettativa/desiderio di un maschio che si doveva chiamare come l’amico Fliess.

Il lato materno è ancora più problematico. Martha ha già cinque figli, avuti in sei anni. Gli ultimi mesi della gravidanza e il parto sono così dolorosi che quando nasce la madre ha un rifiuto e non la allatta, e non le trova neppure una balia perché troppo costosa. Anna è nutrita con il biberon. Martha parte per Venezia con Sigmund. Quando Anna compie un anno, Minna Bernays, sorella minore di Martha, entra a far parte della famiglia Freud.  Da allora Anna avrà  “le due madri”, come le chiama Sigmund. Ma il rapporto più importante di Annerl (‘Annina’, così era chiamata in famiglia) è quello con Josepine, la bambinaia, che segue anche gli  altri due figli più piccoli, Ernst e Sophie; ma lei sente di essere la preferita (del resto Sophie era la preferita della madre, a destra).

Dopo il primo  anno di scuola di Anna,  Josefine si sposa e lascia i Freud. A ventinove anni Anna riconoscerà in lei “la relazione più vecchia e più autentica della mia infanzia”. Nella famiglia Freud si creano varie combinazioni di complicità: quella sul filo dell’interesse psicoanalitico, tra Sigmund e Anna, a cui si aggiunge in parte Minna (grande ascoltatrice); quella sulla gestione della casa e della famiglia, tra Martha e Minna. Tra Sigmund e Minna c’è anche una particolare intesa nel gioco delle carte e nei viaggi (lui non amava viaggiare solo e Martha non seguiva il suo ritmo). E’ diffuso l’insistente pettegolezzo secondo il quale  Frued a un certo punto avrebbe spostato il suo interesse emotivo e sessuale su Minna, ma finora non ci sono prove a suffragare la relazione.

E poi c’era il triangolo attorno al maternage verso Anna, tra Martha, Minna e Josepine. A differenza della sorella, Martha Freud secondo lo psicoanalista René Laforgue considera le teorie del marito “una vera pornografia”. Marta e Sigmund si sposano dopo un lungo corteggiamento romantico e un intenso scambio di lettere. Donna di casa scrupolosa, Martha è anche molto parsimoniosa e non ama ricevere. Con i figli è permissiva ma ferma, ispirata al decoro medio- borghese. Non può essere più diversa dalla sorella. Minna è forte, sicura di sé, caustica, con un carattere volitivo; inaugura la serie della donne cerebrali e anticonformiste che poi lo attornieranno. Nella complicità intellettuale con Sigmund  Martha è presto sostituita da Anna. “Man mano che Anna la sostituiva , Freud passava sempre meno tempo con la moglie; ma in Anna cresceva il risentimento verso la madre perché non era in grado di venir incontro a tutti i bisogni di Freud” (P. Roazen, Freud e i suoi seguaci, Einaudi).

E poi in un’altra cosa Anna segnerà uno smacco per la madre. Diventerà una psicoanalista. Tra madre e e figlia si sviluppa una rivalità che per Anna significa anche acute crisi di gelosia. Il primo episodio eclatante è quando Sigmund e Martha trascorrono le feste di Natale a Berlino, con le famiglie dei figli Ernst e Oliver. Impossibilitata ad andare con loro a causa di un piede rotto, Anna sfoga tutta la sua amara gelosia in lettere accorate al padre.

 

Le storie belle

 

Anna non ha ancora diciotto anni quando vive un intenso episodio di gelosia e esclusione. Dopo il diploma di maturità , incerta su cosa fare della sua vita e mentre la sorella Sophie annuncia il suo imminente matrimonio, viene mandata in vacanza a Merano. Il padre le scrive che deve rimanere là tutto l’inverno e non tornare a Vienna per il matrimonio di Sophie. Cerca di stemperarne l’atteggiamento rigoroso. “i tuoi piani per la scuola possono attendere tranquillamente, finchè avrai imparato a prenderli meno sul serio, Niente ti sfuggirà. Devi vivere un pochino alla giornata, ed essere contenta di avere d’inverno un sole così bello”. Non solo. Freud la scoraggia anche dallo scrivere assiduo alla famiglia. “(…) Voglio dirti che noi tutti siamo contenti delle tue lettere, ma accetteremmo senza dispiacere che tu diventassi troppo pigra per scrivere tutti i giorni”.

Anna vive una profonda amarezza per essere stata esclusa dal matrimonio della sorella. Un turbamento che Freud interpreta come manifestazione di sentimenti “edipici negativi” e di gelosia nei confronti della madre e della sorella. Quello che è certo è che quarant’anni dopo Anna ricorderà, in una lettera a una conoscente, l’esperienza negativa di essere stata reclusa a Merano mentre la sorella viveva un importante rito di passaggio.

Anna in quel periodo è esaurita, ma non ha particolari malattie. “Negli anni seguenti, comunque, Anna si descrive come ‘balorda’ (dumm) ed esaurita, quando controllava la tendenza a masturbarsi ad occhi aperti e inventando ‘storie belle’, elaborate e complesse, con molti personaggi e trame intricate.

Un articolo intitolato Fantasie di percosse e sogni ad occhi aperti, che Anna Freud scrisse dieci anni dopo la sua permanenza a Merano, parla in modo del tutto autobiografico di una paziente che inventava tali ‘storie belle’. Questo narrare storie della paziente si prolungò dagli otto ai dieci anni, che per  Anna Freud stessa sarebbero stati dal 1903 al 1905, gli anni in cui stava studiando per entrare al liceo. Le storie  della paziente divennero più intricate a quattordici e quindici anni, il 1909 e1910 nella vita di Anna Freud, un anno o due dopo l’intervento di appendicite (nel caso della paziente nessun riferimento viene fatto a una operazione o ad una malattia rilevante). Sia la masturbazione, sia l’intenso sognare a occhi aperti che fa da sostituto al piacere masturbatorio, naturalmente sono del tutto normali nell’infanzia, ma quando si entra nei diciotto anni non sono – per usare la parola piuttosto auto-punitiva e moralista di Anna Freud – ‘ragionevoli’. ”  (Anna Freud, E. Young-Bruehl).

Questo articolo diventò la sua  prima conferenza alla Società psicoanalitica di Vienna. Il 31 maggio 1922 la ventisettenne Anna lo legge in uno dei seminari freudiani del mercoledì. Siccome è stato scritto sei mesi prima della sua prima cura di un paziente, è probabile che il suo contenuto sia un’esposizione della sua stessa analisi con il padre.

Stendersi (così giovane) sul divano di Freud, suo padre e padre della psicoanalisi, per essere analizzata, è un aspetto importante sul quale si tornerà nella prossima puntata. Qui ci basta notare che raccontando i suoi tentativi per allontanarsi dalla fantasia masochistica (le fantasie di percosse) e sottrarsi al senso di colpa, e approdando poi alle piacevoli farneticazioni, sempre più complesse, delle ‘storie belle’, Anna dimostra, con la già notevole predisposizione all’analisi, la capacità di trasformare le fantasie crudeli in fantasie a lieto fine, e di sublimare così le fantasie inconsce e le rivalità edipiche.

 

Sul lettino del Padre

 

Le sedute analitiche di Sigmund Freud alla figlia hanno scatenato le critiche più dure e  forsennate dei detrattori della scuola freudiana. L’ultima voce indignata è stata quella di Michel Onfray, in un saggio che tenta di screditare in toto il padre della psicoanalisi.

Malgrado la deontologia definita dallo stesso Freud in Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico (1912), che invita lo psicoanalista a non far stendere mai sul lettino parenti, amici o membri della propria famiglia, il padre sottopone ad analisi la figlia dall’estate del 1919 fino al 1922, poi dalla primavera del 1924 al 1929, analisi che quindi dura nove anni in ragione di cinque o sei sedute settimanali. Si legge con un sorriso un po’ triste questa affermazione della signora Freud riportata da Henri F. Ellenberger nella sua La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica: «La psicoanalisi si ferma alla porta della stanza dei figli». Misuriamo quanto sotto il suo tetto avvenissero cose inconcepibili ai suoi occhi.

Non è sicuro infatti che la signora Freud sia stata tenuta al corrente del fatto che la figlia abbia passato quasi dieci anni a raccontare sul lettino del padre i suoi fantasmi sessuali, le sue angosce esistenziali, le sue preoccupazioni libidiche, i suoi timori e le sue paure, la sua vita intima, il deserto della sua sessualità, almeno l’inesistenza di altri nella sua vita sessuale, i suoi ricordi d’infanzia con… suo padre, sua madre, i fratelli e le sorelle, il suo modo di vivere, il suo desiderio di accoppiarsi con suo padre e di soppiantare sua madre, la periodicità delle sue regole provocate dalle medicine, insomma le confessioni che solitamente si fanno sul lettino. (…)

Il lavoro degli storici ci permette di conoscere una parte di ciò che è stato detto su quel lettino. Il testo che Freud pubblica nel 1919 sotto il titolo Un bambino viene picchiato, ha come sottotitolo Contributo alla conoscenza dell’origine delle perversioni sessuali (1919) e riguarda esplicitamente Anna. Quest’ultima conferma a modo suo quel che lì si trova, perché redige Fantasma di essere picchiato e fantasticherie (1922), un testo da leggere come contrappunto a quello del padre. Questo articolo era stato il testo di una conferenza tenuta alla Società psicoanalitica di Vienna il 31 maggio 1922, prima di divenire l’esercizio teorico che le valse l’ingresso nel movimento psicoanalitico.

Quel che si apprende dello stato psichico di Anna Freud è costernante. Freud disserta imbrogliando le carte: battere un bambino; essere battuto realmente o fantasmaticamente; vedere un bambino battuto quando si è bambini; desiderio di bambino che un altro bambino sia battuto; un bambino è battuto: da chi? È sempre lo stesso bambino? Chi lo batteva? Un adulto o un altro bambino? Si immagina che si trattò di altrettante variazioni sul tema proposto da Anna durante le libere associazioni. Freud non risponde a nessuna di queste domande. Peggio: se si legge bene, scrive persino: «La conoscenza teorica è ancora, per ciascuno di noi, incomparabilmente più importante del successo terapeutico» (IX, 45). In altre parole: poco importa la guarigione, purché la scienza progredisca. Trattandosi della propria figlia, ci si può stupire della crudeltà di un simile ragionamento.

Qual è infatti il suo problema? Anna fantastica su scene di fustigazione inflitte dal padre. Costruendo la sua sessualità attorno a questo desiderio sado-masochistico, essa sprofonda in pratiche masturbatorie compulsive. Ecco l’epicentro di questo articolo, annegato peraltro in un numero incredibile di considerazioni inutili che ritardano o im- pediscono la sua vera intelligenza. Distesa sul divano di suo padre, Anna racconta di masturbarsi freneticamente immaginandolo mentre le dà dei colpi. Freud conclude con la sua pietra filosofale: questo fantasma si radica… nel complesso di Edipo!

La ricostruzione è a suo modo divertente ma è piegata a una tesi preconcetta, insomma manca di realismo. Onfray si ostina infatti a voler ignorare che in quella fase di incubazione delle teorie psicoanalitiche era diffuso tra analisti l’uso di attingere alle loro conoscenze sociali per farne dei casi clinici. Questo ha permesso loro di acquisire i rudimenti del sapere terapeutico. Melanie Klein ha analizzato suo figlio Eric. Certo, i suoi rapporti con i figli non sono idilliaci, se pensiamo che la figlia Melitta la odiava,  come persona e come analista, al punto che quando ci fu la diatriba Klein-Anna Freud , lei si schierò con quest’ultima.  In una lettera da dichiarazione di guerra alla madre Melitta scrive: «Tu non ti rendi sufficientemente conto del fatto che io sono una persona molto differente da te…». Del resto questo conflittuale (ormai ‘moderno’) rapporto madre-figlia a suo modo si insinua nella elaborazione teorica di Melanie Klein, visto che, diversamente da Freud,  mette al centro la Madre e la relazione con essa. Non è certo una madre idealizzata; anzi,  Klein suggerisce il matricidio simbolico, la necessaria se pure dolorosa separazione dalla madre.

Non poteva mancare, nel Libro nero della psicoanalisi, un attacco a quella che è definita “analisi incestuosa” dalle deplorevoli conseguenze. A usare queste parole è Patrick Mahony, noto anche per aver ‘dimostrato’ nel saggio Freud e Dora  che in realtà il caso Dora non è certo un modello di riferimento, ma al contrario un esempio di rifiuto del paziente da parte del proprio dottore;  prova dell’incapacità di Freud a capire la sessualità femminile e le sue dinamiche. In realtà Freud stesso ammette il fallimento della sua analisi con Dora, dunque il caso diventerà comunque emblematico, se pure in negativo. Freud riconoscerà anche di non aver capito molto del mondo femminile. Com’è noto –  scrive Simona Argentieri – uno dei limiti della teoria freudiana dello sviluppo psico-sessuale femminile è quello di sottolineare l’amore della bambina per il padre e la parallela gelosia per la madre senza dare altrettanto rilievo ai sentimenti ostili che la figlia può nutrire anche contro di lui. Non è strano – prosegue – che questa omissione si basi proprio sul rapporto che Sigmund aveva vissuto con le sue tre ragazze: Mathilde, Sophie e – naturalmente – Anna, che lo avevano tutte devotamente adorato. E’ stata invece una delle sue più brillanti allieve, Helen  Deutsch, a scrivere che l’amore di un padre per la figlia adolescente può indurre nella giovane una rinuncia a priori alla competizione con gli uomini, orientandola verso una subordinazione senza conflitto, prima con il genitore, poi con il marito. La conquista della propria autostima attraverso l’approvazione degli uomini può costituire in effetti una strategia ‘conveniente’, che in molti casi semplifica i problemi della crescita. Mentre, paradossalmente, un padre che rifiuta o svaluta la figlia può fornirle una spinta maggiore verso l’emancipazione che non uno che la coccola e la vezzeggia.

Così Mahony giudica la terapia padre-figlia: Freud affermò e insieme screditò se stesso come terapeuta familiare, trascinando sua figlia in una cura analitica incestuosa e impossibile. (…) Quell’analisi, aldilà dei risultati, era una chiara messa in scena edipica, recitata da ambo i lati del lettino. Una delle conseguenze fu che Anna, vittima delle sue inibizioni verso l’oggetto d’amore, si abbandonò a una vita di privazioni. Mahony non esita a definire un “Viennagate” l’aver permesso alla figlia di presentare il risultato di quell’analisi, il saggio Fantasia di percosse e sogni ad occhi aperti, per entrare nella Società Psicoanalitica, il cui comitato aveva come presidente onorario l’analista e padre della candidata, Anna Freud.

 

Difese

 

E’ l’analisi delle difese il contributo originale di Anna Freud alla teoria psicoanalitica. In questo i suoi studi manifestano un’originalità indirizzandosi alle dinamiche dell’Io e non dell’Es. Ma bisogna ricordarsi – dirà Anna Freud nelle Conversazioni con Joseph Sandler – che quelli erano anni in cui l’introduzione dell’Io come tale nella discussione psicoanalitica o in letteratura era sospetta alla maggior parte degli analisti. (…) Ci fu una forte e diffusa ostilità verso qualsiasi tentativo di trattare dell’Io e dell’attività dell’Io come tale, non negli scritti di mio padre, ma nella mente degli altri analisti. Nel 1936 esce Das Ich und die Abwehrmechanismen, L’Io e i meccanismi di difesa. Due sono gli esempi di difesa in questo saggio: l’identificazione con l’aggressore e una forma di altruismo. Così l’autrice spiega a Sandler l’identificazione con l’aggressore.

Joseph Sandler:
(…) quando parla del ragazzo che nella sua mimica riproduceva l’espressione irata del maestro mentre parlava, lei dice che il ragazzo si identificava con l’ira del maestro, sebbene non sapesse che lo stava imitando. Lei poi dice: “Il fare smorfie serve dunque in questo caso all’assimilazione o identificazione con l’oggetto temuto del mondo esterno”. Vorrei chiederle di spiegare che cosa intendeva con la parola “assimilazione”.

Anna Freud:
La parola tedesca è Angleichung. Il bambino diviene come il maestro. “Assimilazione con” è una traduzione piuttosto approssimativa. ma, sa, l’esempio migliore che ho di questo processo allora non l’avevo. E’ venuto più tardi alle Hampstead Nurseries, da quella bambina che aveva un fratellino che aveva tanta paura dei cani e gli ha detto: “Tu fai il cagnolino e i cani non ti morderanno”. E’ l’espressione perfetta di questo processo.

JS:
E’ molto simile al suo esempio della bambina che dice al fratellino che non deve avere paura nell’anticamera: basta che faccia finta di essere il fantasma che potrebbe incontrare. Ma il bambino sta capovolgendo la situazione, sta rovesciando i ruoli, o si assimila soltanto, in un certo senso, al fantasma? In altre parole, sta forse dicendo: “Se faccio anch’io parte della classe dei fantasmi non sarò assalito?”

AF:
Lei conosce quel passo del Libro della giungla di Kipling che descrive come si insegna a Mowgli quel grido protettivo – si potrebbe dire difensivo – per andare nella giungla: ogniqualvolta incontra un animale pericoloso basta che gridi: “Siamo dello stesso sangue, tu e io”, e non succede niente. Quella è l’assimilazione con l’aggressore, o la migliore approssimazione a diventare aggressore, o a diventare come l’aggressore.

JS:
E’ esattamente ciò che lei ha descritto come identificazione con l’aggressore. Ma sembra molto diverso, qualitativamente, dal caso del bambino che ha paura del dentista e poi gioca a fare il dentista col fratellino.

AF:
Questo è volgere il passivo in attivo. Quel che ho descritto è più vicino all’identificazione. Ma sono molto simili. Sa, dal dentista non servirebbe a niente fingere di essere il dentista. Mentre col cane e con gli animali selvaggi serve subito, al momento.

 

Anna incontra Dorothy

 

“Nel 1925  Dorothy Tiffany Burlingham era venuta a Vienna per affidare alle cure di Anna Freud due dei suoi bambini: Bob e Mabbie. Dorothy, figlia del celebre artista, Louis Comfort Tiffany, era infelicemente sposata con Robert Burlingham, un medico affetto da psicosi maniaco depressiva. Anna già da qualche tempo, oltre a prendere in cura pazienti adulti, eesercitava anche la professione di analista infantile. L’incontro con questi due piccoli pazienti suscitò però  in lei un profondo tumulto emotivo: “Talvolta penso che io non solo desidero guarirli, ma anche – allo stesso tempo – vorrei aaverli o – al limite – vorrei avere da loro qualcosa per me stessa. […] Questo desiderio può essere di aiuto nel mio lavoro, ma prima o poi – nota acutamente – finirà per disturbarlo […] Non posso definire questo mio desiderio che ‘stupido’ “. (da S. Vegetti Finzi, Psicoanalisi al femminile).

La loro relazione solleva una scia di supposizioni. Lo documenta la biografia Behind glass scritta dal  nipote di Dorothy, Michael John  Burlingham. “Con la morte di Martha Freud  nel novembre del 1951, la relazione di Dorothy con Anna Freud raggiunse la sua dinamica definitiva. Per ventotto anni vissero insieme come una coppia sposata, condizione che com’è logico suscitò delle ipotesi. La vera natura della loro relazione è, secondo Victor Ross, ‘la questione che tutti vogliono sapere’, e le opinioni sull’argomento sono divise. C’è chi, come Tinky e W. Ernest Freud, trova ridicola l’idea di una relazione lesbica tra la loro rispettivamente madre e zia. Altri, in particolare la generazione dei nipoti di Dorothy, ritengono che questa sia una possibilità, o addirittura probabile. La questione era comuque nata all’interno della stessa Società Psicoanalitica di Vienna. In risposta a una richiesta di iinformazioni, il dottor Richard Serba scrisse: ‘La relazione tra [Dorothy] e Anna era ovvviamente molto intima. Una volta Max Schur portò me e mia moglie in auto a Hochroterd nel Wiener Wald, dove Anna e Mrs. Burlingham possedevano una piccola casa insieme. Ci mostrò l’interno e rimanemmo stupiti di trovare solo un letto matrimoniale nell’unica camera da letto della casa.

C’era in realtà un’ala separata per i bambini, e per Dorothy e Anna due letti singoli in una stanza dove avevano evidentemente dormito insieme la sera precedente; ma a che scopo? La prova fa sembrare profondamente improbabile che fossero lesbiche nel senso sessuale della parola: l’ascetismo di Anna al programma di sublimazione di Dorothy vanno contro questa ipotesi, cosi come l”interesse di Anna per l’eterosessualità di Bob’ “. [marito di Dorothy, ndr].

Qualche anno fa Elisabeth Roudinesco fece scalpore negli ambienti freudiani, limitandosi a ricordare la nota,  pluridecennale relazione con Dorothy, la quale peraltro la aiutò a crescere i suoi quattro figli. Roudinesco afferma che Freud accettò la coppia come una “famiglia come tutte le altre”. Lungi dall’avere atteggiamenti critici sull’omosessualità della figlia, Freud – sostiene  – fu “totalmente tollerante” e “appoggiò” la vita della figlia con Dorothy Burlingham, erede di Tiffany, il gioielliere. “E chiaro che Anna era omosessuale”, chiosa la psicoanalista francese. “Ha trovato la donna della sua vita ed è diventata una madre per i figli di Dorothy. Per quanto riguardava Freud, le due erano una famiglia.” Burlingham era così devota a Anna che rinunciò al comfort americano per di stare con lei nella Londra ferita dalla guerra. Ed è in questa sua affermazione la novità. Perché se l’omosessualità di Anna era stata a lungo sospettata, per la prima volta qualcuno all’interno del mondo psicoanalitico lo ammette chiaramente, sulla scia del confronto culturale così acceso nella Francia di oggi.

Roudinesco aveva rotto con le convenzioni già nella prefazione alla rivelatoria raccolta di lettere tra Anna e il padre. “Gli storici di Freud lo hanno sempre nascosto”, ha scritto, accusando molti dei suoi adepti di omofobia. Un’accusa rivolta anche a Anna, che ha descritto l’omosessualità come una “malattia”. Roudinesco è stata consultata come molti altri dalla commissione parlamentare in merito alla legge sul matrimonio gay. “Nessuno può dire che a Freud non sarebbe piaciuto quello che sta succedendo oggi”, ha detto. “Era affascinato da diversi tipi di famiglie. Sarebbe stato affascinato dal dibattito.”