Il comico, questo sconosciuto

Last Updated on 9 Maggio 2004 by CB

Se qualcuno avesse dei timori sulle sorti del libro nel nostro Paese, potrebbe farseli passare facendo un giro alla Fiera di Torino, quest’anno affollatissima. Salvo poi chiedersi, quante delle persone che transitano tra gli stand e gli incontri con gli autori e i vip più o meno in vena di autografi, quante di loro siano anche dei lettori.
La domanda sembrerebbe oziosa, se non ci fosse capitato di vedere una nota conduttrice di reality show letteralmente assediata da decine di ‘ammiratori’ e persino da molteplici troupe televisive in cerca di intervista.

E siccome siamo in tempi di reality, la domanda sulla natura reale o virtuale dei lettori, se la sono posta anche i librai, parlando delle vendite record di libri in edicola (e del parallelo calo di vendite in libreria). Ora i librai sperano che da questo fortunato (per gli editori di giornali) business nascano nuovi lettori e futuri clienti. Anche se, si sa, non è automatico il passaggio tra possedere un libro e leggerlo, e fare poi della lettura un’abitudine necessaria.

Della tv si è parlato molto in questi giorni, non solo perché era uno dei fili conduttori della Fiera, ma anche perché sembra impossibile non parlarne male, in un modo o nell’altro. E così il comico Alessandro Bergonzoni, con una inedita verve polemica, intervistato sulla comicità ci ha detto che ancora una volta si è persa l’occasione di parlarne ‘in modo serio’, soffermandosi invece sugli aspetti di costume. La comicità non coincide con i comici televisivi, peraltro bravissimi in alcuni casi (e record di vendite in libreria con i loro libri); ma soprattutto non coincide con il genere tipicamente parodistico, fatto di sberleffi, prese in giro e imitazioni, diffuso dal mezzo televisivo.

La comicità invece, nasce da un pensiero. Ma resta un’entità sfuggente, come ha spiegato il noto italianista Salvatore Silvano Nigro. «E’ il tragico, il suo contrario, che possiamo definire. Il comico non ammette definizioni, nasce dal vuoto». Perché tutto nasce da un libro che non c’è, quel libro introvabile della Poetica (sul quale Eco ha costruito il ‘giallo’ del Nome della Rosa) nel quale Aristotele, dopo avere spiegato il tragico, si sarebbe soffermato sulla natura del comico.

Paese di comici, il nostro, ma anche capace di opere di massimo rigore, come quella presentata da Giovanni Reale. La sua Storia della filosofia greca e romana (Bompiani) è un unicum a livello mondiale per l’estensione e la profondità con cui indaga le radici del pensiero europeo: dieci volumi, cinquant’anni di lavoro. Reale spiega la chiave ermeneutica del suo lavoro, fondato sul principio per lui imprescindibile della trasmissione del sapere, a discapito della ricerca di originalità: dire non soltanto cosa e perché un filosofo ha fatto una certa affermazione, ma anche come lo ha detto, e dire gli effetti che hanno avuto le sue parole.

Acceso sostenitore di tutt’altro pensiero greco, quello razionalista, è il matematico Piergiorgio Odifreddi. L’immagine ingiustamente più diffusa della cultura greca – sostiene – è quella umanistica, cioè quella irrazionalistica popolata da personaggi che rasentano la pazzia.

«Ad esempio, che tipo di uomo descrivono lIliade e l’Odissea? (…) Un uomo che antropomorfizza la propria voce interiore e il proprio inconscio sotto forma degli dèi, che gli appaiono quotidianamente in forma visibile e udibile, e coi quali egli conversa e discute in palese dissociazione mentale. Un uomo oggi internato nei manicomi o nei conventi ma che allora evidentemente circolava in libertà per le strade». Non c’è dubbio; non ha parlato del comico, ma Odifreddi ci ha dato, oltre che spunti di riflessione, anche un ottimo esempio di humour.
(Cristina Bolzani)

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