Last Updated on 12 Gennaio 2004 by CB
Paul Gauguin e la sua nonna materna, Flora Tristán. Due storie parallele e due modi di cercare il Paradiso in terra. Il fascino dell’ultimo romanzo di Mario Vargas Llosa, è la loro contigua, complementare, ricerca dell’Utopia. Che sia quella, collettiva e sociale, della Giustizia, o quella, individualista (ma anche universale) della Bellezza.«Che ne sarebbe, dunque, di noi senza l’aiuto di quel che non esiste?», sembra chiedersi l’autore con questo romanzo, rispondendo alla domanda di Paul Valéry citata all’inizio. In nome di quel che non esiste si muovono e si determinano le esistenze dei due eccentrici protagonisti.
Florita definisce la sua voglia di cambiare il mondo già dalla sua fuga da un matrimonio devastante, e poi dall’amore per la conoscenza e la libertà; in Perù comincia a scrivere contro le ingiustizie e i soprusi, per i diritti delle donne e degli operai.
Paul a sua volta fugge da una perfetta vita borghese fatta di famiglia e impiego in Borsa, in nome di una altrettanto imprescindibile vocazione, quella estetica per il Bello incontaminato del mondo primitivo polinesiano, che cerca di fermare sulla tela in una tensione culminata nell’autodistruzione.
Nel romanzo intriso di storie, di sensualità, di passioni e di impegno civile, l’autore cerca di far convivere due forme diverse di utopia: quella di Florita, che lotta per una società perfetta, quella di Paul Gauguin, che rincorre nel mito del buon selvaggio il paradiso individuale. Riuscire a integrare queste due visioni – giustizia e libertà sociale da una parte, sovranità individuale e piacere dall’altra – è per lo scrittore peruviano quanto di più vicino alla civiltà.
Mai come ora la voglia di libertà e giustizia sembra destinata alle sfere irrealizzzabili di un inafferrabile Altrove. Ma forse proprio per questo, il romanzo di Vargas Llosa esprime una Utopia ancora più necessaria.