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Il taciturno

Last Updated on 14 Ottobre 2012 by CB

Glielo dicevano i genitori da bambino: “Non parlare in pubblico , possono venire solo guai”. Ma se vivi in Cina i guai arrivano comunque. Quel suo ambiguo silenzio filo-governativo non era piaciuto ai dissidenti cinesi. Poi Mo Yan ha deciso di contraddire il suo nome che signifca “quello che non parla” , e ha lanciato un appello per la scarcerazione di Liu Xiaobo intellettuale e premio Nobel per la Pace 2010 in prigione per le sue critiche al regime.

Il primo a rallegrarsi del suo gesto è stato Ai Weiwei, famoso artista e dissidente che nel giorno del Nobel aveva definito Mo Yan “uomo del sistema” per la sua latitanza sui diritti. Intanto i mass media nazionali incoronavano il loro primo Nobel per la Letteratura; perché quello dato nel 2000 a Gao Xingjian, esule in Francia, come prevedibile non rientra nel conteggio.

Finita l’euforia, Mo Yan si difende dalle accuse di essere troppo vicino al governo di Pechino. “Scrivo in una Cina governata dal Partito comunista. A partire dagli anni Ottanta i miei lavori mostrano in modo chiaro che scrivo da una prospettiva che è quella dell’essere umano”. “Credo – aggiunge – che molti dei miei critici non abbiano letto i miei libri. Avrebbero capito che sono stati scritti sotto forti pressioni e che mi hanno esposto a grandi rischi”. Secondo la sinologa Renata Pisu “per quanto non sia un dissidente in senso stretto, Mo Yan è stato molto critico nei confronti del regime”.

E’ d’accordo anche lo studioso di arte orientale Gian Carlo Calza: “Le critiche di Mo al sistema non mancano  (come traspare da Le rane, prossimo suo titolo in uscita da Einaudi nel 2013), ma sono piuttosto parte intrinseca dell’opera stessa, non evidenziate a tema di per sé e, certo, sono meno visibili. Ora si vedrà se vorrà usare l’enorme potere che il premio gli conferisce in modo differente o continuare per la sua strada. Egli è comunque stato a rischio di finire nella mira dell’indice; lo stesso pseudonimo di ‘non parlare’, che lo rende celebre e sostituisce l’originario Guan Moye, deriva dall’esortazione familiare nata durante la Rivoluzione Culturale a stare attenti a tenere la bocca chiusa, appunto a ‘non parlare’. Ha obbedito ai genitori, ma ha fatto parlare per lui protagonisti affascinanti”.

 Ma agli occhi dei detrattori resta colpevole per non aver mai parlato in difesa dei diritti umani. E appare comunque ambiguo. Per esempio definisce “ragionevole” le idee di Mao quando afferma che l’arte e la letteratura devono «servire il popolo e il socialismo», piegando così la creatività alla propaganda.

Certo, Mo Yan non è un intellettuale ‘impegnato’ e il contesto sociale in cui vive reclama un cambiamento urgente . Resta il fatto che non dovrebbe essere giudicato per il tasso di dissidenza al potere politico, ma per quei “mondi narrativi” accostabili – sostiene la sinologa Annamaria Palermo – a quelli di Garcia Marquez. Una creatività travolgente che ripercorre il vissuto di un popolo e restituisce dignità a una grande storia. Anche per questo, aldilà del valore letterario, si capisce l’amore di molti cinesi per questo scrittore. Mo Yan reinventa con potente realismo letterario, non socialista, la storia cinese e così riaccende la grandeur cinese, per una volta non in chiave economica. E il Paese di Mezzo si colloca con sempre maggiore energia al centro del mondo.

Mo Yan è Nobel

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