Last Updated on 21 Gennaio 2004 by CB
La qualità della scrittura di Ingeborg Bachmann (Klagenfurt 1926 – Roma 1973) è una ricerca espressiva, una tensione che arriva quasi a rivestire di parole l’indicibile. Qualità che si ritrova nella sua forma più alta nel romanzo Malina.La protagonista è un Io femminile, che ama due uomini, Ivan e Malina; ma è anche la parte femminile di Malina, quella parte che vuole amare. La lacerazione in cui si dibatte la sua esistenza, fino all’epilogo drammatico, deriva dal suo passato, dalla elaborazione continua di una identità scissa e ferita in modo definitivo. L’Io femminile cerca invano nell’amore una guarigione dalla sua vibrante infelicità, la cui possibile origine è dichiarata nella parte in cui l’Io ricorda dei sogni-incubo caratterizzati dall’aggressività inferta dal padre. «Non è mio padre, è il mio assassino».
L’infelicità dunque è la conseguenza dell’autorità e atrocità paterna. L’infelicità è anche il motore di questo delirio, raccontato con la stessa ricchezza di particolari con cui la scrittrice, in parallelo, descrive gli aspetti concreti della storia.
Una storia che è quasi impossibile raccontare, come è quasi impossibile parlare dell’oggi, «perché questo Oggi lo posso passare solo con una tremenda angoscia e una fretta pazzesca, e scrivere, o solo dire, in questa tremenda angoscia, ciò che succede, perché si dovrebbe distruggere subito quello che viene scritto sull’Oggi, come si strappano, si spiegazzano, non si finiscono, non si spediscono le lettere vere, perché sono di oggi e perché non arriveranno più in nessun Oggi».
Nell’esistenza dei personaggi come nel linguaggio della sua narrazione, la Bachmann si confronta di continuo con due utopie: quella di aderire a una dimensione psichica cangiante e contraddittoria, e in ultima analisi inenarrabile; e quella di forgiare una forma espressiva libera da vincoli, e il più possibile ‘vera’.
Dopo una dura lotta l’Io (in Malina) rinuncia alla passione amorosa, e scompare. (cb)