Last Updated on 14 Aprile 2015 by CB

Lo sguardo poetico e documentario di una fotografa americana sul genocidio armeno in una mostra alla Galleria del Cembalo (dal 23 aprile al 27 giugno).
Gli alberi di Gelso fanno la guardia, nonostante il passaggio del tempo
ad Ağaçlı, formando una macchia verde nel polveroso terreno dell’Anatolia,
nutriti dalla sorgente che scende a cascata dalla valle sovrastante.
Rami estesi come in una dichiarazione, le foglie nutrono
un universo, chiuse da un filo. La seta, tessuta da grossi vermi su queste foglie
risiedono sul pavimento delle case del villaggio e annidati nei giardini.
Qui, ogni albero assorbe la pioggia e il vento, il sole e la tristezza;
spinge le sue radici nella profondità del suolo di Ağaçlı e sono testimoni.
I segreti dei secoli sono ombre sotto i grossi rami.
Ma non ci diranno in modo semplice cosa è successo qui, o lì.
Restano immobili, quiescenti, tornando alla storia solo quando appellati. (Kathryn Cook)

Per sette anni ha ricostruito le tracce del genocidio che ha causato la morte più di un milione di armeni in Turchia. La fotografa scopre i fili di una storia frammentata attraverso le testimonianze degli armeni e dei turchi incontrati in Armenia, in Turchia, in Libano, in Siria, in Israele e in Francia. Kathryn Cook si sofferma qui su ciò che resta di questa eredità, con una narrazione delicata che mescola foto in bianco e nero a colori. Il titolo La memoria degli alberi si riferisce al villaggio turco di Agacli (il posto degli alberi), nella Turchia dell’est, che Kathryn Cook ha fotografato a lungo e che costituisce, in un certo senso, la metafora del suo percorso artistico. Questo villaggio, che era armeno prima del 1915, è oggi abitato da una maggioranza curda che ha fatto rinascere la tradizione della tessitura della seta come veniva praticata un tempo dagli armeni.
