La condizione post-fotografica

Last Updated on 16 Settembre 2015 by CB

fontcuberta
Joan Fontcuberta

L’artista Joan Fontcuberta si ricorda di quando una società spagnola gli chiese – con l’esordio dei cellulari – se pensasse che incorporare una macchina fotografica in un telefono fosse stata una buona idea. «Dissi che era stata una stronzata. Nessuno lo avrebbe usato. La fotografia è una cosa seria, se volete fare una foto dovete prendere una macchina fotografica», racconta sul Guardian. «Quanto mi sbagliavo.» Il mondo è cambiato e Fontcuberta è stato abbastanza saggio da cambiare insieme a lui. La proliferazione degli smartphone significa che tutti costantemente facciamo e consumiamo fotografie, uno stato che lo ha portato a descrivere gli esseri umani come Homo photographicus . Il Mese della fotografia a Montreal curato da Joan Fontcuberta parla della condizione post-fotografica.

Con 29 artisti selezionati da 11 Paesi, il festival indaga sulle nuove prospettive del fotografico necessarie per raccontare la realtà nel Ventunesimo secolo.  Ma invece di concentrarsi sulla tecnologia o l’estetica del fenomeno, Fontcuberta preferisce un approccio antropologico. «Il post-fotografico non è uno stile, non è una tendenza o un movimento artistico. E ‘un tipo di atteggiamento verso la fotografia. Come sono le persone che utilizzano le fotografie, gli smartphone, come reagiscono di fronte a questa cascata di immagini su Internet? In altre parole, la scultura a forma di nuvola di Robert Pellegrinuzzi con 250mila foto ci chiede: «In realtà, noi produciamo immagini, o piuttosto le  immagini producono noi?»

Quali evoluzioni possibili, secondo Fontcuberta? «Le fotografie digitali non hanno corpo, sono ovunque e in nessun luogo simultaneamente, e per questo sono molto simili alle immagini mentali. Forse in futuro saremo in grado di trasmetterle telepaticamente».

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