Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB
Una mostra questa che riconcilia, se ce ne fosse bisogno, con l’eleganza mai scontata della fotografia in bianco e nero. Soprattutto se a interpretarla sono due maestri della camera oscura come Gianni Berengo Gardin (1930) e Elliott Erwitt (1928). Diceva Cartier-Bresson , che non amava le foto a colori perché non gli sembravano artistiche come quelle in bianco e nero ma semmai avevano un tratto più documentario; ne fece per delle riviste, e nella mostra all’Ara Pacis si possono vedere. (Peraltro HCB amava molto una foto di Berengo Gardin, che ne parla in questa intervista). A vedere gli scatti – in mostra all’Auditorium Parco della Musica di Roma – di questi due fuoriclasse messi a confronto – molte celebri, altre poco note, altre ancora appena realizzate e mai mostrate finora – non si possono non cogliere con due stili diversi una simile intensità e un generoso coinvolgimento per le storie che hanno saputo raccontare.
Nei centoventi scatti, realizzati dai primi anni Cinquanta ad oggi, rimbalzano le loro rispettive evocazioni, nutrite anche dell’amicizia nata nella camera oscura, alle prese con i sali d’argento. Sembra molto tempo fa, nell’oggi dominato dalla tecnica digitale; eppure, assicura Berengo Gardin, in questo periodo, forse saturati da troppe brutte immagini, si sta riscoprendo il fascino della fotografia analogica. Sulle derive del gusto fotografico prêt-à-porter ha scritto di recente Roberto Cotroneo riscuotendo grande seguito tra i lettori dei social network.
Hanno cominciato a fotografare quasi nello stesso periodo, e sono tra gli ultimi rimasti a usare a questo livello i sali d’argento. Anche la loro curiosità verso il mondo non si è affievolita: Berengo Gardin ha fatto un importante reportage di denuncia sulle grandi navi a Venezia; Elliott Erwitt nel suo ultimo lavoro ha raccontato la Scozia.

Non sono un artista, sono un fotografo che documenta la sua epoca. A Elliott mi accomuna questo, abbiamo la stessa concezione della fotografia, ha detto Gianni Berengo Gardin all’anteprima della mostra. L’ho sempre ammirato e siamo amici da anni, e poi è a lui che devo la mia evoluzione come fotografo. E ha ricordato quando, negli anni Cinquanta a Milano, rimase folgorato dall’esposizione di Erwitt The Family of Man. A colpirlo in particolare una fotografia (in alto), scattata a New York nel 1953, che ritraeva sul letto la sua prima moglie, la figlia e il gatto: era un genere totalmente nuovo, così lontano dallo stile retorico a cui ci aveva abituato il fascismo. Io ero ancora un fotoamatore, per me fu un cambiamento totale nel modo di vedere le cose.