L’arte della fuga del giovane Keret

Last Updated on 21 Settembre 2003 by CB

Ha uno stile agile e frammentario, teso; scrive racconti tragicomici e molto ironici. Nella sua brevità c’è ansia e disorientamento, nei suoi personaggi c’è la stessa inquietudine. Etgar Keret è nato nel 1969 a Tel Aviv. “Pizzeria Kamikaze” è il titolo della sua raccolta di racconti pubblicati in Italia per e/o.

Ho cominciato a scrivere per protestare, ci dice, e per dire che ho un anelito,un desiderio forte. “Israele è diventata una società gravemente frammentata e piena di odio, per colpa dell’ideologia. Indossano l’ideologia come si indossa la maglia della propria squadra. L’ideologia è quella cosa che ti dà una risposta istantanea su chi devi amare e chi devi odiare.”

Nella sua scrittura c’è molta ironia. Che valore ha per lei?
Penso che l’ironia sia l’arma dei deboli. Quando puoi cambiare le cose cerchi di farlo, ma se non hai il potere di cambiare le cose allora ci scherzi, con le cose. Dunque uso l’ironia per protestare contro tutto ciò che mi rattrista.

Perché ha scelto di fare lo scrittore?
Credo che non sia stata proprio una scelta. Ho cominciato a scrivere quando ero nell’esercito. Ero un pessimo soldato, ero molto depresso e mi sono ritrovato a scrivere. Non ho scelto di scrivere, la scrittura ha scelto me.

In che modo sceglie i suoi personaggi?
Gli scrittori che mi hanno ispirato di più sono Franz Kafka e Kurt Vonnegut. Comunque scrivo delle cose che conosco; e anche se sono storie fantastiche, devo avere a che fare con sentimenti autentici, e sentimenti che conosco.

E devo dire che quando vivi in Israele hai abbastanza materiale di cui scrivere. Penso che ci sia qualcosa, nel mio Paese, che è come la vita in ogni altro posto, ma col volume al massimo. Ogni cosa è a voce alta. Tanto sospetto, tanto dolore, tanta fiducia, tanta sfiducia… devi solo guardarti attorno, e la storia arriva.

In “Pizzeria kamikaze” parla di persone che si suicidano, ma che anche nell’aldilà sono comunque infelici… E’ così pessimista?
Al contrario, sono ottimista. Penso davvero che suicidarsi non sia la soluzione. E penso che la gente che si suicida nel mio libro sia solo la metafora per persone che sono vive ma rinunciano alla vita. Non hai bisogno di ucciderti per essere disperato e depresso…In realtà penso che sia un libro ottimistico

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