Last Updated on 21 Febbraio 2004 by CB
«Non vorrei che, continuando questo viaggio nella modernità, ogni giorno sempre più complessa, la telefonia mobile a nostra disposizione, facesse assomigliare il nostro abituale percorso di vita in qualcosa che possa avere a che fare con il mezzo che si usa per il trasferimento dei detenuti, omonimo del telefonino, e che si chiama appunto cellulare».Il primo saggio sugli effetti psicologici del telefonino dimostra che siamo tutti un po’ prigionieri del seduttivo feticcio, e dipendenti da quella sensazione gratificante, ma illusoria, di controllo e onnipotenza.
Se c’è una condanna a cui il potente tramite tecnologico ci ha piegato, è quella dell’eterna reperibilità. Il materiale di analisi di Di Gregorio è lo stesso che abbiamo quotidianamente davanti: persone che parlano in pubblico dei fatti loro, che scrivono e leggono Sms, che cercano/controllano i loro cari (e viceversa) in ogni momento e in ogni luogo, nella libera manifestazione di esibizionismi e voyeurismi che ha trasformato ogni luogo pubblico in una sorta di ininterrotta soap opera.
La percezione dello spazio/tempo è cambiata in funzione delle nostre esigenze. L’assenza di qualcuno si trasforma in presenza, la distanza se solo lo vogliamo si annulla. Basta premere un tasto, basta scrivere una breve frase, e l’ansia di separazione si attenua, e il sentimento di solitudine si placa. Una magia, si direbbe, che torna tanto più opportuna in tempi di disorientamento e nomadismo identitario.
L’oggetto magico, come da bambini lo è il giocattolo preferito, ci permette di ‘aggiustare’ la realtà secondo bisogni soggettivi, addomestica l’ostilità del mondo. Non più oggetto-tramite, è diventato un oggetto consolatorio, ed è per questa sua nuova funzione che le persone ne diventano dipendenti.
Proprio in quel potere di ‘aggiustamento’ del reale si annida il rischio della psicopatologia. Perché le persone tendono sempre di più a «ricorrere all’azione per tamponare una forma di disagio o placare l’ansia». Alla fine, l’interesse per l’altro cade in secondo piano, si crea una «barriera di introversione»; il piacere è spostato sull’oggetto feticcio, che diventa «sostituto di realtà».
Nella continua ricerca di un feedback dagli altri, si ha un impoverimento della propria capacità di elaborare la distanza in modo simbolico. Come se le nostre immagini interiori degli altri avessero costante bisogno di ‘prove’ per durare nel tempo, e scaturissero sempre di meno dalla nostra capacità di ‘fare memoria’, di ricordare: in solitudine. (cb)