Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB
Com’era naturale anche Paris Photo ha chiuso, con due giorni d’anticipo, dopo l’attentato. E però, nei due giorni successivi, siamo stati colpiti da moltissime fotografie sulla strage. Quelle che raccontavano le persone appese alle finestre del teatro nel disperato tentativo di salvarsi, i sopravvissuti in fuga. E poi le vittime a terra, e la coppia di ragazzi di cui prima il selfie si vede a colori, poi vira nel bianco e nero ‘assoluto’ con la notizia della loro morte. C’è la fotografia che mostra il presidente Hollande impietrito quando la guardia del corpo gli dice in un orecchio dell’attacco terroristico in corso. E le tante foto elegiache con fiori candele e frasi, a Place de la Republique e altrove.
Sono momenti singoli presi dalla stessa sequenza tragica, che rispetto al video hanno una forza più grande. Le guardiamo in silenzio e ci interrogano indisturbate. E per quanto – come si augurava Susan Sontag riflettendo sul come ci si debba sentire ‘davanti al dolore degli altri’ – il distacco e la comprensione lucida del fatti siano la condizione più augurabile, è impossibile non sentire una straziata empatia. La fotografa scava, non si ferma.