Last Updated on 6 Novembre 2021 by CB
«Un biglietto marcelliano (datato 1909), all’attenzione della sua cuoca: Vorrei che il mio stile fosse brillante, chiaro e solido come il vostro gelato, che le mie idee fossero saporite come le vostre carote, e anche nutrienti e fresche come la vostra carne». La citazione dal Dictionnaire amoureux de Marcel Proust svela un momento di giocosa adulazione con la sua cuoca. e evoca un’altra persona molto importante per lui, depositaria dei segreti nella sua vita domestica.
Negli ultimi nove anni della vita di Proust, Céleste Albaret è stata la sua governante. Come lui viveva di notte, lo aspettava quando usciva e poi raccoglieva, in piedi vicino al suo letto, i racconti entusiastici o melanconici della serata mondana dello scrittore sempre più affranto dall’asma e dall’imperativo di finire la sua opera prima della morte. «Quel che vorrei si capisse è che l’ho amato, subìto, assaporato così com’era nella sua totalità».La gentilezza con i domestici è un tratto che gli è caratteristico, ma il rapporto che instaura con la giovane donna che arriva da un paesino di provincia e sceglie di stargli vicino, scambiando come lui la notte per il giorno, è davvero speciale. Tutto sommato Proust «ha conversato più con Céleste Albaret che con la contessa Greffulhe», fa notare Jean-Yves Tadié nella sua Vita di Marcel Proust (Mondadori).

Sfilano davanti agli occhi di questa donna intelligente e sensibile i ricordi d’infanzia del ‘piccolo Marcel’, come lo chiamava la madre; i primi amori, i personaggi che entrano nella sua vita – e che noi conosciamo, trasfigurati, nella sua opera – ai tempi ‘della camelia’ (come lo ritrae Jacques Émile Blanche) nei quali frequenta il bel mondo per suo piacere e non, come accadrà già dopo la guerra, per estrarne quei particolari dei comportamenti umani che comporranno l’arazzo del suo capolavoro. Dettagli della sua vita ricompresi dallo sguardo affettuoso di colei che gli è molto vicina, come una madre o come una figlia.
Lei stessa descrive il motivo della sua opera: «Per cinquant’anni mi sono rifiutata, perché me l’ero ripromesso, di scrivere la storia della mia vita accanto a Monsieur Proust. Se alla fine mi sono decisa a farlo è solo perché troppe cose inesatte o addirittura assolutamente false sono state scritte su di lui da persone che l’hanno conosciuto meno bene di me, o che non l’hanno conosciuto affatto, se non attraverso i libri e i pettegolezzi».
Sotto lo sguardo penetrante di Céleste passano in rassegna alcuni personaggi del mondo proustiano. Come il suo autista Alfred Agostinelli, considerato il modello di Albertine e la grande passione dello scrittore. Lei ne fa il ritratto di un adulatore opportunista. Di Robert de Montesquiou, modello del barone di Charlus e persona della quale più le ha parlato negli anni, dice: «Gli aspetti che più affascinavano Monsieur Proust, pur colmandolo di uno stupore indicibile e di una sorta di terrore, erano l’insolenza e la cattiveria». E lui non le nasconde niente. Le racconta anche, inorridendola, della sua visita al bordello per omosessuali che darà spunto al famoso episodio masochistico nella Recherche; al suo sinistro proprietario regalerà, pentendosi poi della ‘profanazione’, molti mobili dei suoi genitori. Ci tornerà diverse volte; d’altra parte, «non posso descrivere le cose se non quali effettivamente sono, e per fare questo ho bisogno di vederle». E’ convinta, Céleste, che Proust non si sia mai innamorato davvero. In questo d’accordo con il principe Antoine Bibesco, certo che avesse amato veramente due sole persone: la madre, e lei. Il capitolo più straziante, quello che precede la morte. In cui il tempo, che è la materia oggetto della sua analisi, diventa la sua concreta, ma sempre più fuggevole, possibilità di portare a compimento l’opera; diventa l’opera. Le ripete che sarà lei a chiudergli gli occhi. Fino all’evento tanto atteso che lui le annuncia con un sorriso. «E allora, cara Céleste, glielo dico. E’ una grande notizia. Stanotte ho messo la parola ‘fine’. Adesso posso morire». «L’affettuosa comprensione che ha unito due persone che tutto avrebbe potuto separare – scrive Tadié – ha qualcosa di unico. Col suo intuito e con la sua gentilezza abituali Marcel ha compreso fino in fondo l’intelligenza, la fedeltà, l’esiliata solitudine di Céleste».
Che scriverà: «Sono sessant’anni, tra poco, da quando lo vidi la prima volta, ed è come se fosse ieri. Spesso mi diceva: “Quando sarò morto lei penserà sempre al piccolo Marcel, perché non troverà mai un altro come lui”, e oggi mi accorgo che aveva ragione. Come sempre, del resto. Non l’ho mai lasciato, non ho mai smesso di pensare a lui, né di prenderlo come esempio. Le notti in cui non riesco a dormire, è come se mi parlasse. Se devo affrontare un problema mi chiedo: “Che cosa mi consiglierebbe, se fosse qui?”».
Céleste Albaret, Monsieur Proust