Mario Giacomelli | Private

Last Updated on 19 Febbraio 2015 by CB

mariogiacomelliphotoLa galleria milanese Photology ospita (fino al 10 aprile) una mostre di opere fotografiche storiche da collezioni private  firmate Mario Giacomelli. Prenotando visite guidate con un gallerista, un collezionista e un curatore, si possono vedere – sul tergo di alcuni scatti – frasi, timbri, adesivi, francobolli, appunti e disegni del fotografo, esplicative dell’immagine o divagazioni forse ispirate da essa. In mostra una selezione di opere storiche acquisite negli anni da collezionisti e appassionati internazionali che ritornano momentaneamente unite una accanto all’ʹaltra, proprio come nell’ʹarchivio di Giacomelli in via Verdi a Senigallia. Durante il percorso sarà possibile vedere un’inedita autobiografia video dell’artista, realizzata nel 1997 da Photology.

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Poeta, pittore. Fotografo. Manicheo negli implacabili neri e/o bianchi, nostalgico, perturbante. Nomina alcune serie ispirandosi a poeti; quella famosa dei vecchi nell’ospizio è Verrà la morte e avrà i tuoi occhi; altre sono dedicate a Lee Masters, Montale, Leopardi, Emily Dickinson, Luzi, Borges. Dice:mario g

Se dovessi scegliere tra le cose fatte, salvarne una, salverei l’ospizio. Non per l’ospizio in sé, dell’ospizio non me ne frega niente. Quello che mi importa è l’età, il tempo. Tra me e il tempo c’è una discussione sempre aperta, una lotta continua. L’ospizio me ne dà una dimensione più esatta. Prima di fotografare io dipingevo, si potrebbe pensare che dipingere non abbia niente a che fare con il tempo, ma anche allora era il tempo che contava. Ogni sera iniziavo un quadro, e mi imponevo di terminarlo quella notte, anche se non andavo a dormire. Per finire il quadro con quella stessa tensione. Perché il giorno dopo sarei stato un’altra persona, non avrei più sentito le stesse cose.

dall’intervista a Mario Giacomelli di Frank Horvat (da Mario Giacomelli – The Great Photographers,  Contrasto –  iTunes)

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Mario Giacomelli – Scanno

«Diverso da tutti, ostinatamente indigeno della sua stessa fotografia, Giacomelli può definirsi un primitivo. Egli entra nel corpo delle persone come dei luoghi così come dei pensieri e delle paure, della profondità in cui memoria e oblio si confondono, e al tempo stesso della tecnica fotografica, nella quale penetra così fortemente e violentemente da riportarla a uno stato di originaria, quasi rustica grezzezza dominata da un sostanziale manicheismo che vede l’esistenza del solo bianco e del solo nero. I due colori opposti in Giacomelli producono un effetto greve di funerale, di se stesso o del mondo (che è poi il paesaggio contadino nel quale la natura viene sottoposta alla cultura attraverso il lavoro e lo sfruttamento) con le sue forme, le sue fatiche e le sue consunzioni, oppure generano la meraviglia e il bagliore discontinuo di un aldilà misterioso, lontano ma anche terreno ed estremamente presente e radicato nelle cose: il suo sentimento del mondo-paesaggio può dirsi infatti panteistico, e l’immagine ha un fondo arcaico, radicale e sovrastorico». (dal saggio di Roberta Valtorta in Mario Giacomelli – The Great Photographers,  Contrasto –  iTunes )

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