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Mark Rothko, pittura come musica

Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB

5OKBNA13Se la sua opera mantiene anche oggi un fascino severo, gli Scritti sull’arte del grande pittore ebreo russo ce ne regalano un’eloquenza preziosa, che documenta il suo rapporto con gli amici artisti, con la critica. E con la sua pittura. Diversi passaggi sono dedicati alla sua poetica, che a volte sfiora la dimensione mistica, come quando spiega la sua concezione di arte come spazio comunicativo, come rivelazione, tra l’artista e lo spettatore. «Lo strumento più importante che l’artista impiega grazie a una pratica costante è la fede nella sua capacità di produrre miracoli quando ve n’è il bisogno. I quadri devono essere miracolosi: non appena uno è terminato, l’intimità tra la creazione e il creatore è finita. Questi diventa uno spettatore. Il quadro deve essere per lui, come per chiunque altro ne farà esperienza più tardi, una rivelazione, una risoluzione inattesa e inaudita di un bisogno eternamente familiare».

arteLa definizione della sua opera lo infastidisce. In uno scritto del 1957 respinge la classificazione del suo lavoro come action painting da parte di una critica d’arte, perché «classificare è imbalsamare. La vera identità non è compatibile con le scuole e le categorie, a meno di una mutilazione.» La sua pittura ha piuttosto l’intensità ed emozione di una musica, dell’effetto che dà, con la tecnica del cluster – afferma Riccardo Venturi nella postfazione -, un grappolo di note suonate con forza e all’unisono: «Se nella musica classica l’ascoltatore è trascinato dalla melodia, se percorre – e anticipa mentalmente – le diverse voci ordinate dalla scrittura contrappuntistica (in questo simile alla prospettiva), con il cluster non ci sono più percorsi predisposti e si resta con l’impressione di camminare sul posto, come in un’esperienza ipnotica».

Dell’artista che espunge se stesso dalla sua opera – perché «ogni insegnamento incentrato sull’espressione di sé in arte è sbagliato e ha a che vedere piuttosto con la terapia. Conoscere se stessi è prezioso affinché il sé possa essere rimosso dal processo» -; dell’artista del quale il figlio afferma non usasse mai il pronome singolare io, resta così, a colmare lo spazio, la persistente vibrazione del colore.

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Rothko, “Rust and Blue”

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