Sull’odio

Last Updated on 7 Novembre 2004 by CB

Di tutte le passioni l’odio è la più reale e insopprimibile. Teorizzare una natura ‘odiosa’ è la dolente riconferma della realtà della storia e della cronaca. L’enfer sont les autres, diceva Sartre; lo sguardo dell’Altro ci obbliga a un corpo a corpo nel quale «il desiderio umano gioca la sua partita mortale». Non ci sono vie di fuga, se non la maggiore consapevolezza che esiste una parte oscura che spinge gli esseri umani al «godimento del Male».Il pessimismo è già tutto dispiegato nel Disagio della civiltà di Freud, quando parla della propensione, negli uomini, alla cattiveria e alla distruzione e all’aggressività. Ma il saggio di Massimo Recalcati, forte del pensiero lacaniano (e di diverse altre sollecitazioni filosofiche e letterarie), va oltre e arriva ad affermare che l’odio è una passione più reale dell’amore; addiritttura, «è il solo sentimento lucido». Mentre l’amore ha la forma di un miraggio, di un attesa, e si sostiene sull’idealizzazione dell’Altro, l’odio «è odio per l’inconsistenza dell’Altro» che non può proteggerci dall’imperfezione umana. E’ una «passione dell’essere», e una particolare forma di invidia, «invidia della vita».

Se il centro propulsore dell’odio è all’interno dell’uomo, in quella pulsione incontrollabile che è la Cosa ipotizzata da Lacan, anche la cosiddetta lotta al terrorismo manca il vero problema, ossia il fatto che «il nemico, il demone, la minaccia non coincide mai con l’esterno ma è interna allo Stesso». In altre parole, none esiste un’opposizone tra Civiltà e Barbarie, perché la Barbarie è immanente alla Civiltà, ne è lo ‘straniero’ interno. Dunque non può essere sconfitta con la guerra, che semmai ipotizza in modo paranoico un nemico esterno per controllare l’angoscia di non poter controllare il nemico interno. L’odio scaturisce indipendentemente dalle frustrazioni offerte dalla realtà. L’odio può convive con l’idealismo più puro; l’illusione di agire per una Causa e per il Bene dell’umanità motiva l’azione folle e spietata del terrorista, che destabilizza l’ordine simbolico occidentale mettendo in scena volontariamente la morte.

L’autore si sofferma sulle versioni dell’amore – come ritrovamento dialettico dell’Uno nell’Altro, come passione narcisistica, come ricerca di ritorno all’unità, come scambio tra una domanda e una soddisfazione simboliche (per cui amare è dare ciò che non si ha, e «il dono d’amore non contiene niente se non il segno d’amore, ovvero il segno della mancanza dell’Altro») – e sulla complessità del desiderio, mai interamente simbolizzabile nel linguaggio.

Sono interessanti anche le pagine che riguardano la differenza tra invidia e gelosia, che rimandano alle riflessioni di Melanie Klein, e quelle sul paradosso della ‘claustrazione’, messa in atto dal geloso, di cui è un ottimo esempio l’Albertine della Recherche di Proust, imprigionata dall’amore di Marcel – che togliendole la libertà s’illude di possederne la fedeltà – eppure ancora inafferrabile, come se impersonasse la forza fisica della velocità. Una mobilità dell’oggetto/soggetto d’amore, che alimenta e insieme eccede ogni possibile ‘discorso amoroso’. Anche perché il desiderio, in fondo, assomiglia a un rimpianto. «Evoca all’infinito, secondo una ‘nostalgia fondamentale’, un oggetto perduto. Per questa ragione il desiderio non trova mai appagamento nell’oggetto; il suo centro è un centro disabitato dall’oggetto».
(Cristina Bolzani)

da Sull’odio, Bruno Mondadori, Milano 2004
«Come abbiamo visto, nel corso del Seminario VII Lacan introduce in seno all’inconscio un punto cieco, innominabile, una sorta di esteriorità interna, di estimità (extimité), di alterità immanente-trascendente il soggetto. Questa realtà muta, silenziosa, radicalmente straniera, irriducibile alla poesia dell’inconscio come lingua dell’Altro, all’inconscio retorico, ‘strutturato come un linguaggio’, è, lo sappiamo, das Ding, la Cosa. E’ il reale della Cosa che occupa la scena della guerra: è il reale innominabile della Cosa che rende ogni linguaggio sempre inadeguato a simbolizzare l’evento traumatico della violenza e il suo eccesso strutturale. per questa ragione di fondo Lacan scopre che l’inconscio strutturato come un linguaggio è una coperta troppo corta perché possa dar ragione di ciò che nell’inconscio si manifesta come distruzione, violenza, attaccamento al male, eccesso pulsionale, in una parola: ‘godimento’». (pp. 85-86)

Biografia
Massimo Recalcati è psicoanalista, membro AME della Scuola lacaniana di psicoanalisi. Insegna all’Università di Bergamo e alla Sezione clinica del Campo Freudiano di Milano. Tra le sue pubblicazioni: L’ultima cena: anoressia e bulimia (Bruno Mondadori, Milano 1997); Clinica del vuoto: anoressie, dipendenze e psicosi (Franco Angeli, Milano 2002) e Introduzione alla psicoanalisi contemporanea (Bruno Mondadori, Milano 2003).

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