Last Updated on 14 Marzo 2012 by CB
Qualche giorno fa Pietro Citati ha scritto sul Corriere della Sera una breve ma cumulativa stroncatura per così dire ontologica dei libri più venduti, Meglio non leggere quei Bestseller – Il declino degli scrittori (e del pubblico). Partendo dal presupposto che i lettori italiani sono peggiorati negli ultimi 30-40 anni, di pari passo con i rispettivi scrittori – e riconoscendo nel decennio 1960-’70 la stagione più ricca e feconda apparsa da secoli nella letteratura italiana – Citati arriva alla seguente, amara, constatazione:
Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell’immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile. Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho. Intanto, continua la scomparsa dei classici. Gli italiani non hanno mai letto Dickens e Balzac. Oggi, anche Kafka (che nel 1970-80 era amatissimo) va a raggiungere Tolstoj e Borges nel vasto pozzo del dimenticatoio. Per fortuna, restano i poeti: o, almeno, una grande poetessa, Emily Dickinson.
Naturalmente la dichiarazione del noto critico è stata subito archiviata alla voce ‘passatismo inaccettabile’ da qualcuno. E’ vero che il carattere di quell’editoriale ha la forma dello sfogo più che di un articolato ragionamento, e che peraltro tira in ballo in modo frettoloso l’industria editoriale, che di fatto è l’artefice materiale di lettori e scrittori. Ma non sembra verosimile che i classici siano così in declino; verò però che nelle neo-librerie cultrici dell’up-to-date sono sempre più nascosti. Ma non stupisce che questa lamentazione arrivi proprio da Citati, maestro dell’approccio ‘mimetico’ , totale, ai grandi della letteratura, che sa compenetrasi nei loro mondi, che siano Proust, Kafka, o Leopardi.
Il problema centrale è però quello di metodo, di etica del lettore. Non sono convinta che sia meglio non leggere niente piuttosto che leggere Dan Brown, Faletti o Coelho. Perché questo prospetta una specie di rigida eugenetica del lettore, al quale viene tolta ogni possibilità di approdare a un piacere più complesso. Se penso ai libri che leggevo nell’adolescenza, non trovo molto di somigliante a quello che poi ho imparato ad apprezzare. Confesso che tra le mie letture compulsive c’erano bestseller di Agatha Christie e Wodehouse, e anche – se pure per un breve periodo – di Liala, e che oggi leggo i bestseller di Fred Vargas. A volte tra i libri più venduti ce ne sono di ottimi (per esempio il libro di La Capria). Si dovrebbe preferire una torre d’avorio abitata solo dall’eccellenza letteraria? Ma a questo punto si potrebbe essere ancora più oltranzisti, e non solo evitare i bestseller, ma leggere solo classici. Anzi, certi classici.
Raffaele la Capria sul Corriere di oggi dà ragione a Citati, usando una metafora felina. Cerca di descrivere chi sia il ‘cattivo scrittore’, cioè chi scrive in modo stilisticamente abile (da scuola di scrittura) ma è povero di immaginazione; questi libri sono per La Capria “disanimati”, soddisfano più l’intelligenza che il cuore. Il guaio è che il lettore medio – conclude – è assuefatto a questi libri artificiali come i suoi gatti lo sono ai cibi in scatoletta, tanto da non riconoscere più quelli naturali. E’ una metafora che fa pensare, ma anche qui c’è una rigida dicotomia. Stile e immaginazione possono convivere, oggi come duemila anni fa. Il capolavoro è da sempre raro, e da sempre s’inganna l’attesa con i feuilletons.
Meglio non leggere – Minima & Moralia