Last Updated on 19 Novembre 2007 by CB
“Buon soldato, non grande uomo di guerra; amatore d’arte, non artista; capace di delitti, ma non carico di delitti. Questo sono stato”. La voce narrante è quella dell’imperatore Adriano. Malinconico, disperato, disperato d’amore, sovrano nel distacco da sé. Quella malinconia e quella disperazione nel romanzo Memorie di Adriano (25 milioni di copie vendute in tutto il mondo) di Marguerite Yourcenar (a dicembre ricorrono i vent’anni dalla sua morte), risuonano già di un’aura teatrale; e quando nel 1989 Maurizio Scaparro fa rivivere l’Imperatore a Villa Adriana, a Tivoli, Giorgio Albertazzi sa rappresentarlo con quella verità poetica, intensa ma antiretorica e fortemente interiorizzata; per cui si ‘crede’ che sia proprio lui, Adriano.
Proprio in questo incontro magico tra il personaggio storico e poi letterario, e l’attore, va interpretato il successo della versione teatrale. Albertazzi lo descrive come un “incontro ‘molecolare’, perciò Adriano cambia, come cambia il mio sistema cellulare”. E commentando il “successo e la suggestione” per un testo che si configura come una sequenza di puri frammenti della vita, talvolta immaginari, di Adriano, commenta che “come nel caso di Saffo, quelle rime smozzicate, alcune tronche altre disarticolate, sono fonte di tale provocazione lirica da costringerci a riempire le presunte cavità della nostra emozione e della nostra passione… Il nostro è un tempo di incertezze, sconnessioni e frammenti”. Se immaginiamo poi quei brani di vita grandiosa decantati nella cornice della villa Adriana, non possiamo non essere rapiti dalla sintonia tra quelle pietre e quegli spazi, e le parole levigate in una essenziale pregnanza; comprese quelle che raccontano la vita e la morte di Antinoo, amato appassionatamente dall’imperatore varius, multiplex, multiformis.
Come la Yourcenar, anche Albertazzi è affascinato dalla figura di Adriano: “Non mi ispira molta simpatia fisicamente, però mi ispira una grande ammirazione come persona, come un grande talento. Uno che ha rappresentato bene quel momento straordinario della vita di Roma del II secolo, dove gli dèi non c’erano più e Cristo non c’era ancora . Quindi gli uomini per un lungo periodo vissero liberi. L’ideale per me della vita: senza dèi. Quando l’uomo è davvero solo, fa i conti con se stesso, riflette, apprezza la vita. E certamente lui è un esteta di straordinario livello”.
Sul rapporto tra la sua interpretazione e il personaggio di Adriano, è categorico: “Non esistono i personaggi ma gli autori. Io ho fatto Marguerite Yourcenar più che Adriano”. Una infatuazione, quella della scrittrice per l’Imperatore, che comincia da lontano, quando lei è ancora ventunenne. Che cosa la colpì, lo dice lei stessa all’amico scrittore Joseph Breitbach: “Era un grande individualista che, per questa stessa ragione, fu un grande legislatore e un grande riformatore. Un grande sensuale e anche (io non dico mai: ma anche) un cittadino, un amante ossessionato dai ricordi, diversamente impegnato con vari esseri, ma allo stesso tempo e sin o alla fine uno degli spiriti più controllati che siano mai esistiti”. (Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar – l’invenzione di una vita, Einaudi, 1993).
(Cristina Bolzani)
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