Nicolas De Staël chiude ad Antibes. Cioran e lo “specialista della vertigine”

Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB

de staelDi Nicolas De Staël (Pietrogrado 1914- Antibes 1955) chiude al museo Picasso di Antibes la mostra sul tema del nudo e della figura, che documenta per la prima volta questo suo periodo con opere in gran parte inedite. Di famiglia nobile, la sua vita fu inquieta e culminò nel sucidio, proprio mentre la sua pittura si stava affermando. Un’inquietudine che trasferisce nel segno , aggrovigliato specie nel primo periodo insieme alla densa stesura del colore, per por approdare a formati più grandi e più nette geometrie. Fu una meterora dell’espressionismo astratto. Dopo anni nei quali passò quasi inosservato, una mostra al Guggenheim nel 1965 affermò definitivamente l’artista franco-russo. Come accade a Klee, è dal nord Africa che de Staël riceve le impressioni più forti; il colore, insieme alla luce,  è l’elemento fondamentale delle sue opere piuttosto del disegno. Cerca di conciliare figurativo e astratto, ricavandone pure forme che sono fuori dal tempo ma comunque concrete e materiche.

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Così Cioran ricorda Nicolas De Staël.

«Incominciamo con un rimorso: ho incontrato de Stael molte volte (frequentavamo lo stesso salotto…) intorno al 1950. Desiderava che andassi a visitare il suo studio. Ho promesso senza mantenere la promessa. Non si nasce impunementemente nei Balcani, nello spazio ideale della trascuratezza e del fallimento. Non avendo intuito le sue rossotribolazioni, non ho mai avuto con lui una conversazione approfondita. La sua franchezza sfiorava talvolta la provocazione. Un giorno, a un suo amico pittore che andava un po’ troppo in là nella spogliazione e nella semplificazione, disse senza mezzi termini in mia presenza: “Perché affaticarti? Metti soltanto la tua firma sotto una tela bianca”. Il suo suicidio ha lasciato tutti perplessi. Come spiegarlo? Lo straordinario non ha bisogno di commento. Si può tuttavia fare un’ipotesi che sarà una risposta soltanto per coloro che hanno affrontato l’abisso delle notti in bianco. De Staël Stael conosceva questo abisso da bicchiereiniziato, da specialista della vertigine. Rimpiangerò sempre di aver ignorato la misura delle sue prove. Se l’avessi intuita sarei sicuramente diventato suo amico, giacché esiste una complicità fra gli insonni, fra questi maledetti puniti per reato di lucidità. Vegliare vuol dire essere coscienti al di là del sopportabile, non poter dimenticare, subire la continuità dell’intollerabile. Mentre quelli che dormono incominciano ogni mattina un altro giorno, per l’insonne oblio non è possibile, poiché giorno e notte egli affronta incessantemente lo stesso inferno. Fu al terzo tentativo che per De Staël l’incubo ebbe fine. Non si tratta dunque di un’improvvisazione ma nicolasdi una necessità, di un compimento, insomma di una liberazione. Le sue opere degli ultimi anni testimoniano una febbre, un’apocalissi interiore che esigeva il coronamento della morte. I suoi rossi, in modo particolare, sono così violenti, così animati, che sembrano portatori di un messaggio, di un addio folgorante. E’ in seguito a tormenti senza nome che egli deve aver scelto l’irreparabile. Le ultime lettere rivelano chiaramente i suoi dubbi sul proprio avvenire di pittore, come pure il suo terrore dinanzi al vicolo cieco. Egli non vedeva come avrebbe potuto evolversi, come avanzare ancora. D’altra parte, incominciava a tormentarlo il successo sempre maggiore che incontravano le sue tele recenti, mentre le prime gli erano costate sforzi infinitamente maggiori. Vedeva in ciò una sorta di ingiustizia che aggravava le sue insonnie. Non si possono spingere impunemente gli scrupoli tanto oltre. E tutti questi scrupoli, così contraddittori, alimentati dal suo squilibrio, non potevano che accelerare la sua fine. Ancora giovane – aveva soltanto quarantun anni – era giunto al termine di se stesso. Dopo tutto avrebbe potuto rinunciare alla pittura, cessare – senza dramma – di puntare su se stesso, e abbandonarsi ad un nulla qualsiasi, dunque tollerabile. Ma non ha voluto sopravvivere a se stesso, odiava la rassegnazione. Da vero artista, si è rifiutato di venire a patti con la mediocrità della saggezza».  (dal Corriere della Sera)

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