Last Updated on 29 Dicembre 2005 by CB
Il plot dell’eccellente romanzo di Paula Fox ricorda quello di Sei gradi di separazione di Fred Shepisi: nel film un ragazzo nero si intrufola in un attico a Manhattan, ne seduce la coppia snob che lo abita e ne smonta abilmente la scintillante maschera liberal. Nel libro un adolescente irrompe nella casa del professore d’inglese protagonista distruggendone in poche mosse la vita coniugale e precipitandolo in una crisi d’identità. Povero George, appunto. Non tanto per l’irruzione e le avventure che ne derivano, ma per quella dose striminzita di self-consciusness che ne ricava.Se infatti affidato ad altre penne questo spunto narrativo potrebbe diventare il provvidenziale motore di sagge epifanie, oppure il ‘la’ per minimalistiche vicende e acute introspezioni alla Franzen (che tra l’altro è una grande ammiratore della scrittrice), Paula Fox è molto parca di eccessi come di verità consolatorie, e alla fine quello che ci svelano le diverse peripezie di George è soltanto una mente non proprio eccelsa. Il ragazzo abbandonato scalfisce anche in modo drammatico la sua apatica frustrazione, i dialoghi esemplarmente alienati con la moglie (com’è brava a mettere in scena uomini e donne che si parlano senza riuscire a dirsi qualcosa), il rapporto casuale e voyeuristico con i vicini e gli amici.
Il selvaggio Ernest, picchiato dal padre e fuggito dalla scuola, sulle prime dà alle sue giornate un piacevole, filantropico obiettivo, una velleità di grandezza alla sua vita scialba. Purtroppo però il suo ideale di salvare il ragazzo dall’emarginazione, di fargli da precettore, si scontra con una realtà troppo difficile da decifrare per lui, troppo faticosa e ambigua, per quanto prevedibile nei suoi sviluppi devastanti.
La Fox rende molto bene la mediocrità del ‘povero George’, senza tuttavia farne un banale stupido, e muovendosi nell’atmosfera peculiare degli anni Sessanta (il romanzo, del 1967, è il primo pubblicato dalla scrittrice) sa ricavarne spunti anche divertenti. Come fa notare Jonathan Lethem nell’introduzione, l’aspetto più sorprendente del romanzo è che il protagonista è forgiato attraverso frasi magnifiche, che lo sovrastano per arguzia e nitore, che lo condannano a essere qualcuno che si avvicina di continuo alla consapevolezza, ma poi si ritrae.
«Mi azzarderò a dire – dice Lethem – che il fardello che grava su George, facendolo barcollare, è il peso di quanto ogni cosa è costretta a significare quando si è cercato di negare il significato di ciò che è veramente».
(Cristina Bolzani)
Vedi anche: Paula Fox: Il silenzio di Laura
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Paula Fox (The Guardian)