Last Updated on 22 Luglio 2009 by CB
Playground è una piccola casa editrice di qualità, di argomento omosessuale ma non solo. Intervista al suo fondatore, Andrea Bergamini (di Cristina Bolzani).
Non le sembrava una sfida già abbastanza difficile essere ‘di nicchia’ in quanto piccolo editore (e in un Paese poi che non legge), per andare oltretutto a ritagliarsi un ambito così ristretto? Quali motivazioni l’hanno spinta e, più in generale, come mai ha scelto di fare l’editore?
Appartenere a una nicchia è una decisione sempre altrui, e mai, credo, propria. Ossia, il desiderio è sempre quello di comunicare al numero più alto possibile di persone. E’ vero, però, che una certa dimensione artigianale del lavoro editoriale, maturato dopo cinque anni, è forse quella in cui mi trovo meglio. Consente una cura, un’attenzione nelle scelte, che su numeri più grandi è quasi impossibile.
Il desiderio originario, comunque, non era quello di creare una casa editrice di “argomento omosessuale”. Non a caso nel catalogo non si trova saggistica con titoli del tipo “La storia dell’omosessualità da… a…” oppure “yoga e omosessualità” e così via. La volontà era quella di creare una casa editrice che pubblicasse narrativa con, tra gli altri, protagonisti e personaggi omosessuali, nel tentativo di ripetere la felice esperienza di un’altra letteratura di minoranza, quella ebreo-americana. Prendiamo Philip Roth. Nei suoi libri i protagonisti sono sempre ebrei americani, ma nessuno si sognerebbe di descrivere l’opera di Roth come la tipica letteratura “del ghetto”, proprio per la sua capacità di raccontare la società americana nel suo complesso, quando di non attingere addirittura alla presunta universalità della natura umana. Penso che i libri pubblicati da Playground abbiano le stesse caratteristiche. Partono dall’esperienza di personaggi omosessuali per poi raccontare il mondo. Ed è stato così fin dai primissimi libri. Il secondo volume pubblicato è stata una biografia-romanzo di Bessie Smith scritta da Jackie Kay. Nel libro, ovviamente, sono raccontate anche le esperienze lesbiche della cantante blues, ma la gran parte delle pagine raccontano l’america razzista degli anni ’30 o l’epopea del blues di quegli anni. Anche Rachid è esemplare in questo senso. Certo, le relazioni omosessuali del giovane Rachid con uomini molto più grandi di lui sono importanti nell’economia della sua opera, ma forse quello che emerge con più forza è lo straordinario rapporto con il padre, persino eccentrico nella dolcezza con cui si realizza.
Tra i libri pubblicati ci sono quelli di un ‘classico’ come Edmund White, e di Rachid O. e Helen Humphreys, molto interessanti e conosciute nel nostro Paese proprio grazie a Playground. Come scegliete gli autori? Cosa pensa dei nomi che ho citato?
La scelta è il risultato da una parte delle mie competenze e ricerche e dall’altra dei consigli e proposte di agenti letterari che conoscono e hanno rapporti con Plyground. Quel che è sicuro è che finora non è stato pubblicato un solo libro nel catalogo sulla base della lettura di una semplice scheda. Tutti sono stati letti e riletti più volte prima di prendere una decisione.
Quanto a White, è sicuramente tra i più grandi scrittori americani viventi. Non è un caso che siano suoi entusiastici ammiratori Joyce Carol Oates e Jeffrey Eugenides, due scrittori che appartengono a due generazioni diverse. Credo che in White si fonda perfettamente un talento descrittivo, una forte capacità introspettiva e soprattutto una vocazione alla verità quasi straziante. E questo è chiarissimo anche nel suo ultimo libro di racconti che abbiamo pubblicato e dal titolo “Caos”.
Di Rachid O. amo molto il suo essere diverso da tutto. Lui stesso non si considera uno scrittore, come ama ripetere: “Tra me e la letteratura non succede molto”. Questa libertà gli consente di raccontare episodi e con un tono che lo rendono inequivocabilmente originale.
Helen Humphreys, infine, è una splendida narratrice con una ricchissima vena lirica che sa essere popolare, non criptica, e che quindi arricchisce i suoi romanzi di sapori sorprendenti. Il suo “Cani Selvaggi” resta uno dei romanzi più belli degli ultimi anni così come “Il giardino perduto” .
Tra le collane della casa editrice c’è ‘Riserva Indiana’, che pubblica libri di argomento eterosessuale. Aldilà dell’ironia evidente, com’è nata questa iniziativa? Quali sono le altre collane di Playground?
Sì, è vero Riserva Indiana nasce dal desiderio di ridere delle cosiddette separazioni tra letteratura gay ed etero.
E’ una collana che per ora ha un solo titolo perché non siamo più riusciti a trovare testi che ci convincessero.
La collana principale prende lo stesso nome della casa editrice, Playground, ed è l’area del catalogo dedicata alla letteratura “d’autore”. Romanzi, racconti, biografie dall’Occidente e dal mondo, attraversando tutto il Novecento. Storie diverse e lontane, dal Brasile di fine Ottocento di Caminha al Marocco di oggi di Rachid O., dagli Stati Uniti di Edmund White alla Parigi anni ’80 di Hervé Guibert, dall’America razzista degli anni Trenta raccontata da Jackie Kay alla Francia di oggi di Christophe Honoré, dai campi di concentramento in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale narrati di Tatmkhulu Africa all’Inghilterra di Morrissey evocata da Pat Reid. Dal Canada contemporaneo di Helen Humphreys all’Italia degli anni ’60 descritta da Gilberto Severini. Le altre collane sono nell’ordine High School, una collana destinata soprattutto agli adolescenti, dove sono raccontate storie che hanno per protagonisti liceale americani e non solo. Proprio un mese fa abbiamo pubblicato il nostro primo High school francese, “Solo per una notte”. Sono libri freschi, spesso semplici, di buona fattura, ma ovviamente non paragonabili qualitativamente alla collana principale. L’ultima collana è “Mio nonno Renzo”, una collana di fiabe per adulti che ci ha consentito di incontrare autori italiani che apprezziamo, da Barbara Alberti a Matteo B. Bianchi.
C’è qualche rischio, dal punto di vista della qualità delle cose scelte, nel gestire una casa editrice che pubblica narrativa selezionandola prima di tutto in base all’argomento, dunque con un criterio contenutistico? Che peso hanno stile e innovazione del linguaggio?
Il solo rischio è l’inadeguatezza del sottoscritto e naturalmente non sta a me giudicarla. Come spiegavo in precedenza non esiste una letteratura di argomenti o di contenuti. La letteratura è scritta da individui e racconta di individui, a meno che non si voglia di fare del “realismo socialista”, ma come si sarà capito, non è nella mie intenzioni. Lo stile è centrale nella scelta dei titoli. Ovviamente diventa difficile accordarsi sul significato della parola stile. Fatico a distinguere, per esempio, lo stile da una sincerità di fondo, che riguarda anche la materia raccontata. Ma forse qui si rischia di inoltrarsi in territori troppo scivolosi.
Com’è organizzata la Playground, quali persone la compongono? Come mai questo nome?
Siamo in cinque persone, compreso l’art director e l’amministratore. Una struttura ridotta, ma ben affiatata. Il nome è legato alla mia seconda passione, oltre ai libri, ossia lo sport. Il playground è letteralmente “il campo giochi”, ma negli Stati Uniti è anche il campo da basket dove i ragazzi imparano a giocare. Ogni evento sportivo ha il vantaggio che non si sa mai in anticipo come finiranno le cose, è un tipo di spettacolo dal finale aperto. Mi sembrava perciò esprimere perfettamente il carattere non a tesi della casa editrice e in più nel playground le squadre si formano volta per volta rimandando a una realtà mobile e dialettica, che è come concepisco io la realtà.
Come vive lei la dimensione italiana, dal punto di vista dell’interesse suscitato dai titoli pubblicati, delle vendite, e più in generale dell’ambiente della piccola editoria?
E’ il mio paese e soprattutto è la mia lingua. Non saprei immaginarmi come editore (come medico forse sì, o come meccanico) altrove e quindi non saprei fare confronti. Ci sono molti problemi, ma anche grandi soddisfazioni. Certo, il futuro è molto incerto, perché l’impressione è che l’editoria apparterrà sempre di più a grandi gruppi, ma forse continueranno a conservarsi botteghe editoriali.
In Italia è argomento assolutamente tabù il binomio calcio-omosessualità. Playground ha pubblicato un romanzo che lo affronta: ‘Solo per una notte’ di Nicolas Bendini. Che cosa l’ha colpita di questo romanzo d’esordio? Lei pensa che questo fenomeno sia solo italiano, oppure lo sport abbinato al coming out spesso è impraticabile un po’ dappertutto?
“Solo per una notte” è un interessante e divertente romanzo di adolescenti che si rapporta con un fantasma erotico molto presente nella società, quello del calciatore. Ha molti pregi e molto coraggio. Non tanto perché racconta di un calciatore che ha anche desideri omosessuali, ma perché fugge dal clichè della storia normalizzata gay. Sono sicuro che nove autori su dieci volendo raccontare una storia analoga avrebbero scelto di parlare della difficoltà del calciatore di accettarsi o del suo tentativo di avere un compagno e di costruire una relazione con un uomo. Invece Nicolas Bendini, con realismo e disinvoltura, ha scelto di raccontare di un calciatore slavo sposato, con un figlio, razzista, maschilista, che va a letto con un quasi minorenne, ma che non ne vuole sapere di impostare una relazione gay e che non si pone minimamente il problema. Ecco, in questo mi è sembrato molto autentico, consapevole che la realtà psicologica e di vita di un calciatore professionista è molto diversa da quella di un uomo comune.
Ci può anticipare qualche titolo in uscita prossimamente?
A settembre pubblicheremo un autore americano di valore assoluto, Allan Gurganus. Negli Stati Uniti è apprezzatissimo, oltre a essere stato in testa nelle classifiche di vendita alla fine degli anni Novanta con il suo primo romanzo. Il titolo del libro è “Santo mostro” ed è una storia toccante e dura, ambientata nell’America profonda degli anni Cinquanta. Anche qui, al centro, il rapporto tra un padre e il figlio.