Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB

La frase – pronunciata dalla modella e fotografa rispondendo a un giornalista del New York World Telegraph – riassume al meglio la personalità dell’americana inquieta e splendida che frequentò l’ambiente intellettuale della Parigi anni Trenta. La donna che arriva nella città con idee molto chiare incarna una ribelle statuaria e chic, una femminilità moderna e certo avventurosa che non si accontenta della fama raggiunta come modella affermata di Vogue America. L’incontro che la segna è con l’artista dada-surrealista che incanta l’Europa, e che diventerà suo maestro e compagno, in una collaborazione che si dipana dalla moda alla fotografia all’arte.
In Lee Miller/Man Ray. Arte, moda, fotografia l’autrice racconta l’affascinante relazione che li unisce; lei, sospinta come fotografa verso scenari di guerra, lui creatore di universi che trascendono la realtà. Grazie a lui Lee Miller abbandona l’oggettività fotogiornalistica per seguirlo nelle visioni surrealiste, anche se per poco. Dopo tre anni intensi, la fashion icon, compagna, musa e modella di Man Ray – divenendo da modella a fotografa (un aneddoto le attribuisce la a’scoperta’ della solarizzazione, quando in camera oscura accese la luce senza volerlo perché impaurita da un topo e dunque ‘rovino’ lo sviluppo al quale Man Ray stava lavorando – è ben presto sospinta verso nuove avventure, altri amori e, appunto, l’esperienza della guerra. Dalla quale, come dai suoi scatti pubblicati nel mondo, dopo la fine della guerra, si allontanò bruscamente. Spirito libero americano chiuso nel corpo di una dea greca, come qualcuno la definì, come altre fotografe – Annemarie Schwarzenbach per dirne una – Lee Miller usò la fotografia come modo per vivere e dare senso alle cose.