Last Updated on 3 Marzo 2010 by CB
Un libro scritto a quattro mani da due psicologhe e psicoterapeute – Emanuela Buriana e Tiziana Verbiz – entrambe uscite dalla scuola statunitense di Palo Alto il cui esponente più famoso è Paul Watzlawick, racconta in centosettanta pagine che l’amore è un ‘sublime autoinganno’, che il discorso amoroso “è anche” – in casi patologici “è solo” – un discorso tra sé e sé e che ignora l’evidenza dei fatti.
A volte la psicoterapia traghetta i pazienti da un autoinganno ‘disfunzionale’ a un autoinganno funzionale, per poi magari smontare il tutto e rivelare, aldilà di comportamenti ossessivo-compulsivi, la depressione. Non si può dire che questo libro racconti cose nuove, e la vita amorosa a cui si riferisce il titolo è declinata attraverso casi clinici piuttosto eccezionali.
Alla base della sofferenza di molte delle persone ‘malate’ d’amore c’è, sostengono le autrici, “il costrutto teorico di ‘come dovrebbe essere’ la relazione”. Sarà. Ma volendo allargare lo sguardo dagli epifenomeni amorosi alla più complessiva esistenza umana, l’idea dell’autoinganno evoca Schopenhauer e il suo ‘velo di Maya’. Cioè l’illusione che vela la realtà delle cose nella loro essenza autentica. “E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente.”
E che dire di Shakespeare ( il quale scrive che “noi siamo di tale stoffa, come quella di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è chiusa in un sonno”), e di Calderòn de la Barca (il quale afferma “la vita è un sogno”) ?
Insomma, l’agile saggio di self-help psicoterapeutico per cuori spezzati e dintorni, come spesso succede nei ‘prontuari’ di stampo pragmatico di ispirazione Usa, nel divulgare in modo consolatorio delle nozioni psicologiche basilari si focalizza su una parte mettendo in ombra il contesto. Del resto, se l’obiettivo della terapia è alleviare i pazienti dalla sofferenza, il pragmatismo è comprensibile. Ma per ‘interloquire’ invece con il dolore, per comprenderlo e in qualche misura accettarlo, restano ancora piuttosto efficaci la letteratura e la filosofia.
Ne approfittiamo per ricordare Paul Watzlawick. Lo studioso introduce una distinzione fondamentale nello studio della comunicazione: ogni processo comunicativo tra persone ha due dimensioni; da un lato il contenuto, ciò che le parole dicono, dall’altro la relazione, quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro. Una differenza che potremmo intendere simile a quella semiologica tra significante e significato. A proposito di ambiguità nelle relazioni, il saggio Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi (è del 1971 ma considerato un classico), peraltro con molti esempi divertenti, fa capire molto bene certe dinamiche “disfunzionali” . Per esempio determinate da messaggi ‘paradossali’, cioè messaggi che contengono due contenuti contraddittori e quindi obbligano la persona che li riceve a una sorta di imprigionante ‘doppio legame’. (Cristina BolzanI)