Last Updated on 18 Dicembre 2005 by CB
Forse non tutti sanno che la soave Judy Garland interprete di Somewhere over the rainbow era costretta come altri attori a prendere degli stimolanti dai produttori dei suoi film, «per tenerci in piedi anche quando eravamo esausti da tempo». Stupisce di meno allora che la Garland (madre di Liza Minnelli) abbia sviluppato negli anni una dipendenza da psicofarmaci culminata nel suicidio.E’ solo uno degli aneddoti su personaggi famosi (dai prevedibili Janis Joplin, Elvis Presley, Kurt Kobain, Philip K. Dick, fino a Woody Allen, Jean Paul Sartre, Francesca Vacca Agusta…) contenuti in Psychofarmers, guida al (non)utilizzo degli psicofarmaci. Gli autori, il neuropsichiatra Stefano Benzoni e lo storico Pietro Adamo, descrivono questo mondo sia dal punto di vista scientifico – indicando di ogni medicinale l’origine, i principi attivi, gli effetti collaterali – sia da quello dell’immaginario collettivo creato intorno alle «pillole della felicità»: film, cinema, musica e quant’altro. Un immaginario che muove anche dalla pubblicità (il libro ne raccoglie svariate dal 1900 a oggi), con l’ovvio intento di indurre nuovi bisogni, come mostra una sorprendentemente naif immagine pro-Prozac, presentato come un miracoloso detersivo dell’anima, che «lava via la tristezza»…
Da questo punto di vista è molto interessante la voce (il volume è diviso per lemmi) che si riferisce a Paesi dell’Estremo Oriente, come il Giappone, dove siccome non esiste una parola per esprimere la depressione, in pratica non è nemmeno percepita come problema, nonostante le case farmaceutiche siano martellanti nel convincere i giapponesi tristi del contrario (del resto il tasso di suicidi da quelle parti è piuttosto inquietante, e una ricerca dimostra come, dopo l’ingresso degli antidepressivi sul mercato, sia diminuito).
Molto istruttivo anche l’excursus di certi farmaci cult, come il Valium (in commercio dal 1963, benziodiazepina di enorme successo e con alti rischi di dipendenza, che negli anni Sessanta e Settanta era prescritta dai medici generici di tutto il mondo con enorme facilità), o il Ritalin, pillola prescritta a tappeto negli Stati Uniti ai bambini affetti da ADHD (sindrome da deficit di attenzione e iperattività), della cui reale esistenza qualcuno dubita seriamente (ma questo è un problema legato a molte patologie psichiatriche, di cui sono riconoscibili i sintomi morbosi ma resta difficile risalire all’eziologia).
Il libro ha il merito di informare e di rafforzare lo spirito critico. Posto cioè che siamo in un mercato ‘liberale’ che offre prodotti peraltro spesso sempre più mirati e quindi con ridotti effetti collaterali rispetto a un tempo (valga per tutti il caso degli antidepressivi ‘atipici’ di nuova generazione che rispetto a quelli ‘triciclici’, agiscono su un solo neurotrasmettitore, la serotonina) contribuisce a diffondere una cultura che si oppone a chiunque offra strade facili di risoluzione di problemi esistenziali attraverso la chimica, escludendo come è ovvio le patologie gravi per cui i farmaci spesso sono l’unico modo per avere una vita accettabile.
Una osservazione semplice ma non proprio banale, se oggi solo negli Stati Uniti un milione di persone ricorre abitualmente alle benzodiazepine e a altri psicofarmaci ‘ricreativi’ senza consultare il medico. E se ogni giorno quattro milioni di italiani consumano medicine per curare vari disagi psichici. Insomma, l’uso degli psicofarmaci è un fenomeno ormai di massa ma ancora non adeguatamente descritto. E questo libro comincia a farlo, con una certa discorsiva saggezza, estesa a varie problematiche e a diversi Paesi. (cb)
da Psychofarmers (ISBN 2005, 16,50 euro)
«Se i tranquillanti fossero esistiti all’epoca di Robespierre, forse la storia avrebbe preso un altro corso». (slogan pubblicitario del neurolettico Trilafon, 1957)
Su Internet
Psicodissea
Associazione per la Ricerca sulla Depressione
Sito sull’ansia
Mentesana
ADHD (sindrome da deficit di attenzione)