Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB
Il dramma del nostro tempo visto attraverso una lente originale e artistica – che unisce trasfigurandola la dimensione realista a quella astratta – è al centro del progetto di Jacopo Di Cera in Fino alla fine del mare. Un percorso che parte dalla fotografia per approdare in un mondo estetico che ricorda la densità del colore di Rothko e Klein.
Intervista a Jacopo Di Cera
Il suo progetto racconta molto bene la trasformazione. Frammenti di barche che non esistono più – metonimie del dramma sconfinato delle migrazioni – diventano opere astratte in cui protagonista è il colore e che riecheggiano l’opera di Omero. Come nasce l’idea di Fino alla fine del Mare?
Il progetto Fino alla fine del Mare nasce nel cimitero delle barche di Lampedusa; è un luogo unico. Tutto è nato qualche anno fa osservando una foto scattata dall’elicottero di Massimo Sestini che mi era rimasta impressa nella mente. E da lì ho voluto vedere e capire.
Da lontano questi barconi raccontano tristezza attraverso la loro fatiscenza ed il loro abbandono. I sentimenti che si possono provare osservandoli da una certa distanza sono di desolazione e dramma.
Avvicinandosi però lo sguardo cadeva su elementi fatti di colori e di forme artistiche uniche. Dall’abbandono, dalla tristezza e dal dolore stava nascendo una diversa consapevolezza. Da quel momento ho iniziato a scattare, e più scattavo più vedevo arte, ispirazione e quindi speranza. E cosi piano piano, viaggio dopo viaggio le foto dei barconi di Lampedusa si sono moltiplicate diventando un progetto sempre più corposo e completo.
Le foto sono stampate in alta definizione sui pezzi di legno. Può descriverci il processo? E com’è arrivato a questa serie di trenta immagini?
Le trenta foto sono immagini completamente astratte. Elementi cromatici e di forma molto ristretti che visti separatamente dal supporto di stampa rendevano poco. Cosi ho deciso di ricondurre questo percorso cognitivo alla sua origine, al legno. Ho impiegato diversi mesi a capire come poter stampare ad alta qualità su questo supporto. Mi sono affiancato a grandi esperti, in particolare ad un laboratorio romano che mi ha assistito nei mesi fino a che non abbiamo trovato la “quadra”. Piallando e rifinendo questi supporti nel giusto modo riuscivamo a valorizzare al massimo la stampa rendendola una vera e proprio foto ad alta definizione. Dopo di che abbiamo deciso di utilizzare una resina molto particolare che rendesse il senso ‘dell’acqua’, un secondo elemento, fondamentale per poter raccontare questa storia. Infine attraverso un’importante artista della resina abbiamo definito una per una queste foto rendendole tutte opere uniche.
Il suo lavoro ha impatto emotivo forte e vibrante, proprio come certe opere di Klein e Rotchko. Si è ispirato a loro o l’affinità si à scoperta in corso d’opera?
La realtà è esattamente inversa. Sono questi grandi artisti che hanno ispirato queste foto proprio al primo impatto con questi pezzi di legno. Ho visto le loro opere, le loro forme, i loro colori, su questi pezzi di barca. E questa associazione cosi inaspettata ma così forte ha fatto scattare la scintilla di tutto il progetto. Da questa prima emozione ho deciso di scattare.
Questo progetto sta viaggiando da una città all’altra e poi arriverà nei porti. Sarà anche nella prestigiosa rassegna Rencontres di Arles a luglio. Cosa la gratifica di più di questa ‘migrazione’?
Questo progetto parla di un viaggio ed è giusto che diventi un viaggio. Parlare di migrazione è molto facile in questo periodo. E’ un tema importante e contemporaneo che tocca tutti noi. Fare approdare questo progetto ad Arles è sicuramente un grande onore. Arles è per tutti i fotografi un punto di riferimento, un momento di incontro artistico importante. Poter raccontare e condividere questo punto di vista, questo messaggio in questo importante evento mi gratifica moltissimo. Dopo Arles ci saranno altre tappe importanti fino ad arrivare a Lampedusa, terra dove è nato il tutto e dove è giusto che si concluda questo viaggio.
Trovo molto interessante il rapporto che nel progetto la fotografia intrattiene con l’arte e in particolare l’astrattismo. Pensa di indagare ancora questa dimensione?In effetti sono nel pieno di un cambiamento ed una presa di coscienza artistica personale molto forte, e quindi molto complessa. Ho sempre cercato utilizzare la mia fotografia come strumento di racconto con un codice artistico votato al reportage. Anche Fino alla fine del Mare racconta una storia, la storia dell’uomo in viaggio, attraverso però uno stile completamente diverso oltre che attraverso supporti un po’ inusuali per la fotografia, come il legno e la resina.
Ovviamente questo lavoro mi allontana di molto da tutto ciò che era il passato e mi tende verso una prospettiva molto interessante per il futuro in cui voglio continuare ad indagare e osare. In fondo è stata questa sperimentazione a fare emergere questo lavoro al MIA PHOTO FAIR di Milano ed è proprio questa sperimentazione che mi regala ogni giorno nuove energie.