Scusatemi se faccio polvere

Last Updated on 19 Aprile 2021 by CB

Dorothy Parker /AP

Nella sua poesia più famosa, Dorothy Parker passa in rassegna tutti i possibili modi per suicidarsi. Ma siccome «I rasoi fanno male,/ i fiumi sono freddi,/l’acido lascia tracce,/le droghe danno i crampi,/le pistole sono illegali;/i cappi cedono/ il gas è nauseabondo…/Tanto vale vivere». Questo il suo talento: cogliere il lato ridicolo anche nelle più amare tragedie umane. Perché, disse Maugham, «ha scoperto una verità grave e salutare al tempo stesso: nelle nostre più sentite disgrazie c’è qualcosa di irresistibilmente comico.»  Nella raccolta di racconti che la rende famosa, uscita in America nel 1939, la scrittrice – nota anche per i tentati suicidi e la mania etilista, per gli amori infelici e gli slanci socialisti – esprime la sua meravigliosa capacità di scrivere bei racconti. E siccome un buon racconto è soprattutto un’idea brillante, si può capire perché avesse la reputazione di essere la donna più spiritosa di New York; offriva una prosa elegantemente cattiva, sarcastica, spesso beffarda e sempre divertente.

Ma non fine a se stessa. Spesso le sue storie stigmatizzano una certa volgarità alto-borghese. O l’aspetto patetico, buffo delle donne. Nel monologo Chiamata telefonica la protagonista vive l’attesa, febbricitante e un po’ idiota, della telefonata del suo uomo. «Dio mio, fa che mi chiami al telefono. Fa che mi chiami subito. Non ti chiederò altro, non ti chiederò. E non mi pare che sia domandar molto. Sarebbe così facile per te, Dio mio, una piccolezza. Fare che mi telefoni subito. Ti prego, Dio mio, ti prego, ti prego».  Nel racconto La bella bionda c’è una malinconica vena autobiografica, nel raccontare la storia di Hazel Morse, donna tragicomica di avventure facili, che beve per dimenticare il senso di vuoto, e alla fine tenta il suicidio. «Prese subito l’abitudine di piangere, nel primo anno di matrimonio. Anche ai bei tempi dello spasso si era fatta conoscere per la sua capacità di piangere senza risparmio e disinteressatamente ad ogni occasione. A teatro il suo contegno era tutto un giuoco. Tutto poteva farla piangere in una commedia: gli abiti, l’amore poco o punto ricambiato, le seduzioni, la purezza, i servi fedeli, il vincolo matrimoniale e il solito ‘triangolo’..  “Ci siamo,” dicevano gli amici guardandola. “Eccola partita.”» Alla domanda se scrivere versi l’avesse influenzata nella prosa, la Parker rispose di averne tratto la precisione. D’altra parte l’arte della concisione la imparò fin dall’inizio, quando scriveva le didascalie alle illustrazioni di Vogue. Fu anche, spesso feroce, critica letteraria e teatrale per Vogue, Vanity Fair e The New Yorker: di Katherine Hepburn, solo per fare un esempio, scrisse che «recitava tutta la gamma delle emozioni dalla A alla B».

Appoggiò tutte le cause più ‘scomode’, dal comunismo al femminismo. Designò come suo erede universale Martin Luther King. Riuscì nell’intento di diventare una famosa e stimata scrittrice di racconti. Eppure, fino alla fine continua a mantenere quello stile autodenigratorio – qualcuno la definì una ‘masochista psichica’ – che un giorno, dopo la cerimonia di consegna di un premio, davanti alla platea che si alzò per applaudirla, le fece dire «Oh, si sono alzati per me? Credevo che si fossero alzati per andarsene!». E l’epitaffio sprizza ancora autoironia: “Scusatemi se faccio polvere”. (da D. Parker, Tanto vale vivere, La Tartaruga, 2002)

P.S. Esce in questi giorni una nuova versione dell’opera, con prefazione di Natalia Aspesi:

Dorothy Parker, Tanto vale vivere, Astoria, aprile 2021

Arrangiamento in bianco e nero

La donna con i papaveri di velluto rosa che facevano corona sui capelli dorati, non del tutto naturali, attraversò il salone affollato con un’andatura che destava un certo stupore, una combinazione di saltelli e passi sghembi, e agguantò il braccio scarno del suo ospite.

“Ecco qua, l’ho presa!” disse. “E ora non mi scappa più.”
“Oh, salve” disse il padrone di casa. “Bene bene. Come va?”
“Oh, non c’è male” disse lei. “Davvero non c’è male. Senta, vorrei tanto che lei mi facesse il più incredibile dei favori. Sì? Lo farà? Davvero? Per piacere?”
“Di che si tratta?” disse il padrone di casa.
“Ecco” disse lei. “Vorrei conoscere Walter Williams. Dico sul serio, sono semplicemente pazza di quell’uomo. Oh, e quando canta! Quando canta quegli spirituals! Beh, così ho detto a Burton: ‘Buon per te che Walter Williams è nero’, gli ho detto, ‘altrimenti avresti tutte le ragioni di esserne geloso’. Mi piacerebbe tanto conoscerlo. Vorrei dirgli che l’ho sentito cantare. Lei non sarebbe così carino da presentarmelo?”
“Ma sì, come no,” disse il padrone di casa. “Pensavo che lo conoscesse già. La festa è in onore suo. Ma dov’ è finito?”
“È laggiù, vicino alla libreria” disse lei. “Aspettiamo che quella gente finisca di parlargli. Beh, credo che sia semplicemente meraviglioso da parte sua organizzare per lui questa festa così divina, dandogli la possibilità di conoscere tutti questi bianchi… sa cosa intendo. Le sarà incredibilmente grato, no?”
“Spero proprio di no” disse il padrone di casa.
“Io credo che sia davvero un atto di squisita gentilezza,” disse lei. “Sul serio. Non capisco perché diamine non sia socialmente corretto conoscere dei neri. Io non ci trovo niente di male, nossignore. Burton invece… Oh, lui è di tutt’altro parere. Beh, sa com’è, viene dalla Virginia, e lei sa bene come sono da quelle parti.”
“C’è anche lui, stasera?” disse il padrone di casa.
“No. Non poteva,” disse lei. “Stasera sono una vedova bianca fatta e finita. Prima di uscire gli ho detto: ‘Non so davvero cosa combinerò stasera’. Proprio così gli ho detto. Ma era stanco morto, non riusciva a muovere un passo. Non è un peccato?”
“Ah,” disse il padrone di casa.
“Oh, ma aspetti solo che gli dica che ho conosciuto Walter Williams!” disse lei. “Gli verrà un accidente. Sa com’è, abbiamo avuto dei battibecchi a proposito dei neri. Mi inquieto talmente che non so più nemmeno io quello che dico. ‘Andiamo, non essere sciocco,’ gli dico. Ma devo ammettere, a onore di Burton, che è mille volte più tollerante di molti del Sud. Sul serio, va pazzo per i neri. Anzi, sa cosa dice? Che non riuscirebbe a sopportare di avere servitù bianca. E poi sa, aveva una vecchia tata nera, sa, proprio una vecchia balia nera come quelle di una volta, e lui semplicemente l’adora. Pensi un po’, ogni volta che torna a casa sua, va in cucina a salutarla. Ma davvero sa, ancora oggi! Lui dice, ecco, che non ha proprio niente da dire contro i neri, fintanto che se ne stanno alloro posto. E poi fa mille cose, regala vestiti e non so che altro, tutto. La sola cosa che dice, ecco, è che non si siederebbe a tavola con uno di loro nemmeno per un milione di dollari. ‘Ma andiamo,’ gli dico io, ‘questi discorsi mi danno il voltastomaco.’ Sono proprio tremenda. Vero che lo sono?” – (tratto da Dorothy Parker, Eccoci qui )

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