Last Updated on 14 Settembre 2012 by CB
Prima dell’arrivo della Rete pervasiva e della navigazione davvero ovunque, con smartphone e tablet, lo scrittore doveva combattere con certe difficoltà che riguardavano la sua sfera creativa: il blocco davanti alla pagina bianca, l’ispirazione ondivaga, la convivenza con eventuali lavori extra e più in generale il tempo. Quello tiranno e grande scultore dell’esperienza individuale, quello a disposizione per scrivere e riscrivere, quello per leggere e ricevere suggestioni svariate.
Oggi – ne parla qui il Telegraph – lo scrittore deve combattere contro la “digital distraction” : la web-addiction, la dipendenza da social network e da tutto ciò che si può trovare, leggere, comprare in quel dispersivo e illimitato bazar sempre aperto che è Internet. A tal punto che una scrittrice come Zadie Smith ha pensato bene di mettere tra i ringraziamenti in calce al suo ultimo romanzo anche quello per due applicazioni – Freedom e SelfControl – che hanno avuto il ‘merito’ di bloccare sul suo computer la navigazione in certi siti. E non è la sola, anche Nick Hornby e Dave Eggers sono altrettanto riconoscenti.
Insomma, oggi alcuni ‘creativi’ delegano alle applicazioni la loro facoltà di autocontrollo. Di cosa stupirsi? Non tanto del fatto – risaputo – che la dipendenza da Internet influenzi la mente come l’acol e la droga; quanto dal ritenere che la creatività – che prima semmai si cercava di ‘aumentare’ artificialmente – ora sia diventata una risorsa da proteggere dal “Male” internettiano, e che si voglia disciplinare la mente semplicemente creando barriere all’esterno. Non esiste applicazione che possa cambiare il modo in cui pensiamo e scriviamo fin da giovani. Gli scrittori dovrebbero essere i primi a saperlo.