Last Updated on 3 Febbraio 2012 by CB
Harold Bloom è il critico letterario forse più famoso al mondo e di certo più devoto a Shakespeare. Per avere un’idea di quanto si ripeta, e in sostanza scriva sempe lo stesso libro, seppure con stimolanti variazioni, basta dare una scorsa a Il genio, per esempio. Nell’ultimo Anatomia dell’influenza. La letteratura come stile di vita – con riferimento al suo precedente importante L’angoscia dell’influenza –
‘idea di partenza è che i grandi sono in grado di influenzare anche i loro predecessori. Un ottimo pretesto per immergersi
nell’opera di Shakespeare e distillare riflessioni sulla relazione tra letteratura e vita.
“Se Falstaff e Amleto sono illusioni – si chiede – che cosa siamo voi e io?”.
(“Nessuno si innamorerebbe se non avesse mai sentito parlare dell’amore”, è la massima di La Rochefoucauld a epigrafe dell’ultimo romanzo di Eugenides, La trama del matrimonio, che in modo metaletterario coinvolge di Roland Barthes l’opera-feticcio Frammenti di un discorso amoroso).
La tesi di Bloom è che gli autori universali sono stati capaci di creare dei mondi che a loro volta hanno creato noi. Perché la vita stessa è una ragnatela di citazioni.
E in questo universo di finzioni riflesse che creano la “realtà”, Bloom ammette che la sua funzione “è aiutarvi a smarrirvi”. Da Milton a Paul Valéry, da Shelley a Leopardi, da Lucrezio a Eliot, da Dante a Shakespeare e Whitman, Bloom esplora alla sua maniera il canone poetico occidentale (il suo vero amore). Nella poesia occidentale trova un incurabile agonismo. “Omero era in competizione con gli autori del passato, ma dopo di lui tutti sono entrati in competizione con lui: Esiodo, Platone, i tragici. La poesia della Bibbia è agonistica in maniera più sottile, ma rimane aperto il conflitto tra autorità e ispirazione. Dante trionfò su Virgilio e il latino medievale, dando all’Occidente l’unico possibile rivale di Shakespeare, il quale aveva dominato su Marlowe… È un po’ sempre stato così e credo che le cose non cambieranno mai”.
Qui Bloom è all’altezza della letteratura; il saggio è anche un libro di memorie, biografia letteraria, intreccio di passioni e ossessioni di intellettuale e lettore, attento a cogliere le risonanze, i saccheggi, gli strappi che legano i capolavori a quelli che li hanno preceduti.
Bloom è famoso per i giudizi categorici. Oggi i suoi autori preferiti sono Philip Roth, Thomas Phynchon, Don DeLillo e Cormac McCarthy. Di alcuni altri non risparmia valutazioni taglienti. “Non ce n’è nessuno che mi sembra paragonabile a questi nomi, e non riuscirò mai a capire l’entusiasmo per David Foster Wallace e Jonathan Franzen. Ho finito da poco Freedom e mi sembra Pynchon in versione annacquata”, dice in un’intervista.
Ama Paul Valéry. “Considero Valery un grandissimo poeta, lo preferisco a Baudelaire e Mallarmé. Credo che abbia avuto su di me un’influenza superiore a quella di Borges. Quello che afferma è una grande verità: ogni autore crea per definire se stesso. E si tratta di una ricerca continua”.
Così descrive l’amato Amleto: “…Nell’intimo è un ermetico e un nichilista, non privo di atteggiamenti umanisti. Il suo ruolo somiglia a quello del Gesù del Vangelo di Marco che è scettico, e continua a chiedere chi sia, a cercare la propria identità, e i suoi discepoli sembrano non capirlo. Sono caratteristiche che ha anche Amleto, anche nei confronti di chi lo circonda”.
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