Last Updated on 8 Aprile 2004 by CB
Narratore di viaggi, di luoghi lontani, di guerre e rivoluzioni mancate, capace di prestarti la sua vista e la sua percezione per accompagnarti dove non sei mai stato (o dove non hai saputo guardare), Tiziano Terzani ha scelto di raccontarci un viaggio per i sentieri più difficili e impervi, valicando o spostando i confini più labili e più temibili: quelli tra l’Io e l’Altro, tra il razionale e l’impercettibile, tra la salute e la malattia, tra la vita e la morte.Gli scenari in cui si svolge la sua vicenda (di autore e di protagonista) sono collocati in tre aree: l’Italia in cui è nato, l’Asia che nel corso di una vita ha fatto propria (e all’interno di questa l’India e nell’India una piccola area ai piedi dell’Himalaya) e quegli Stati uniti d’America che gli appaiono sempre più come un ambiente alieno e alienante. Ma il continente da scoprire è un altro, quello che abbiamo sempre con noi e a cui guardiamo solo nelle condizioni di estrema emergenza: la persona umana, quell’Io che ci si presenta nelle sue varie sfaccettature, il corpo e la mente, il sonno, il sogno e la veglia, la vita e la morte, la ricerca instancabile intorno all’eterno interrogativo ‘io, chi sono?’. Una domanda che si può evitare o rinviare finché nella vita non ti si presenta all’improvviso un caso della massima emergenza, il più allarmante dei campanelli, legato alla tua stessa sopravvivenza.
Il viaggio, che inizia alcuni anni fa in una clinica di New York, gli si prospetta come il più impegnativo ed intenso di tutti quelli mai fatti, senza carte geografiche e senza alcuna preparazione. Il viaggiatore e il narratore di professione si trovano in un labirinto in cui entra fin dalle prime pagine anche il lettore, alla ricerca della cura più efficace e di un percorso di guarigione sempre più complesso e profondo. Una decina di anni fa la profezia di un indovino su un possibile incidente aereo aveva portato Terzani a scegliere di non volare per un anno e a scoprire un Asia sconosciuta, raccontata poi in modo incantevole in Un indovino mi disse: una deviazione casuale era diventata un’occasione per viaggiare tenendo i piedi per terra e insieme per volare più in alto del solito. Ora una diagnosi ben più concreta e ‘scientifica’ ne determina una ricerca interiore e una metamorfosi che durano da anni e che negli ultimi mesi Terzani ha voluto narrare senza risparmiarsi, trascinando nella scrittura come un fiume in piena le sensazioni, gli appunti di viaggio, i ricordi, i ritratti di personaggi tutti originali e unici, le storie zen e sufi, l’essenza dei testi sacri indiani.
Un altro giro di giostra è, nonostante l’età di chi affronta questo viaggio iniziatico, uno di quei libri che in letteratura si chiamano ‘romanzi di formazione’, perché non solo chi scrive ma neppure chi legge può uscire dal percorso senza restarne toccato, senza esserne in qualche modo cambiato.
L’esperienza vitale di Terzani viene come travasata attraverso le pagine e si incrocia presto con le esperienze dirette di ciascuno, perché il mondo che lui attraversa osservando medici e farmaci, illusioni e illusionisti, è anche la rappresentazione del nostro microcosmo dove nel raggio di pochi chilometri si può scegliere tra specialisti e cliniche, corsi di reiki, guaritori e full-immersion di meditazioni, il tutto in un grande supermercato della salute dove si incrociano, senza parlarsi e senza capirsi, visioni orientali e occidentali dell’uomo e della scienza. Al centro dovrebbe esserci sempre l’uomo, che invece si smarrisce nello stesso labirinto di Terzani.
Il viaggio è lungo e vario per luoghi e stati d’animo, ma, quasi per un miracolo dello schema narrativo, al centro esatto del racconto, il viaggiatore vede il centro del labirinto e comincia a ritrovarsi, con una di quelle illuminazioni che determinano le svolte nel proprio modo di essere: «Io, andare avanti ora? Avanti dove? Tanto valeva che mi fermassi a guardare! (…) Niente è più duro del togliersi di dosso le vecchie abitudini, i soliti modi di reagire. Niente è più difficile che liberarsi da quel che conosciamo, da quel che siamo… o almeno crediamo di essere. E io avevo ancora le solite reazioni istintive, quella mal riposta vanità, a volte quasi superbia, quella pretesa di possedere una certezza di cui in verità non si è certi. (…) Abbiamo tracciato un cerchio attorno alle nostre vite, ci siamo detti che è stregato e facciamo di tutto per non uscirne. Ma dentro a questo cerchio ci sentiamo limitati e soffriamo».
Da lì in poi si spoglia della sua storia e delle sue corazze e continua il suo percorso come Anam, «il senza nome», in quell’India della sapienza antica in cui ritrova radici sempre più profonde. L’osservatore ironico, arguto, tagliente è lo stesso degli altri libri, ma ora l’oggetto di osservazione sta davanti allo specchio. Terzani diventa l’esploratore di se stesso, cambia l’ottica del corrispondente di guerra che era stato e che gli aveva fatto perdere, nel suo stesso mestiere, «il senso del tutto». In quest’uomo che si sente «rinnovato» ritroviamo in pieno l’atteggiamento, lo sguardo, le tematiche di quelle Lettere contro la guerra che il movimento pacifista ha scelto e riconosciuto come uno dei propri testi-base. Anzi, seguendolo nei tre mesi di ritiro in un ashram prima e nel suo rifugio solitario alla base dell’Himalaya poi, è possibile conoscere meglio le motivazioni e la base di esperienza umana profonda che stava dietro quelle Lettere. Il suo ritorno a valle, da Angela compagna della sua vita e nella sua Firenze, in coincidenza con il Social Forum, rimette in contatto il suo cammino solitario con i segni diffusi di quella che vede come l’unica rivoluzione possibile ed efficace, non politica, ma interiore. Lì, dopo tanti viaggi attraverso le rivoluzioni fallite del XX secolo, incontra quella «nuova coscienza» che riconosce come il grande bene del nostro tempo.
«Ho avuto in dono dalla vita un cavallo bianco su cui ho girato e dondolato a piacimento, finché non è passato il controllore a chiedermi il biglietto», scrive spiegando il titolo del suo libro. Sul suo cavallo Tiziano Terzani ha portato da sempre con sé chi ha letto i suoi articoli e i suoi libri e ne ha condiviso, standosene comodamente seduto, i viaggi e lo sguardo. Così avviene anche in questo giro di giostra, con un senso di vertigine in più che ci porta verso il profondo. Alla ricerca di una cura prima, della guarigione interiore poi, Tiziano «senza nome» ci mostra come la sua vera medicina, la sua «pratica di lunga vita» più efficace stia proprio nella scrittura, come dono a se stesso e agli altri.
(Luciano Minerva)