Dove si ferma il mare

Last Updated on 20 Aprile 2004 by CB

Nello spazio sradicato di un aeroporto, il poeta cinese Yang Lian ha presentato il libro che racconta l’esperienza traumatica dell’esilio, cominciato dopo la sua aperta condanna del massacro di Tian’anmen. Edito da Scheiwiller, nell’ambito di un’iniziativa che porta la cultura negli Aeroporti Romani, Dove si ferma il mare è stato scritto «in un periodo oscuro – racconta – perché dopo cinque anni di viaggi il sogno di ritornare in Cina sembrava allontanarsi sempre di più».

L’intervista di Cristina Bolzani.

Lei vive in esilio da anni. Di che natura è il suo rapporto con la Cina?
Per rispondere con una semplice battuta direi che la Cina adesso è «il mio Paese straniero».

In che modo scrivere poesie accorcia la sua distanza dalla Cina?
In un certo senso sento di non avere mai lasciato la Cina, perché continuo a scrivere nella lingua cinese. Tutti i miei viaggi hanno un’esperienza di vita e anche di conoscenza delle lingue straniere, conoscenze che si mettono in dialogo con la mia esperienza cinese, e anche con la mia comprensione della lingua cinese. se scrivo sono nel linguaggio, sono nella tradizione viva. Perciò non importa dove io mi trovi: io sono un cinese.

A quale filosofia, cinese o occidentale, si riferisce la sua poesia?
E’ piuttosto difficile separare nettamente ciò che è cinese da ciò che è occidentale, perché c’è un’esperienza individuale, e penso che oggi siano molto mescolati assieme. Credo che la poesia riguardi la ‘situazione’ dell’essere umano. Qualcuno in Italia mi ha chiesto che cosa significa la poesia per me. Per me. Ho risposto, «cominciare dall’impossibile». Sento che c’è una specie di filosofia cinese dietro questa frase, ma anche se non c’è, credo a questo.

Lei ha cominciato a scrivere in una forma breve, poi è passato alla forma lunga. In questa sua nuova raccolta dove si dirige la sua ricerca poetica?
Ho cominciato a scrivere poesie lunghe, gruppi di poesie con grandi strutture, perché sentivo di avere una certa esperienza completa sul mio Paese e sul linguaggio cinese. Ma quando ho lasciato la Cina ho cominciato a scrivere poesie brevi, per un certo periodo. Fino a quando ho ripreso di nuovo una struttura più grande in Dove si ferma il mare, perché in un certo senso avevo di nuovo un’esperienza completa, questa volta: dell’esilio. Questo mi ha fatto tornare a una struttura più grande. Dopo di allora, ho concluso un’altra e ancora più grande struttura chiamata dei «cerchi concentrici». Dunque non cerco di fissarmi in una forma breve o lunga, ma di sviluppare me stesso in ciascun libro, e ogni fase non può essere ripetuta.

In una sua intervista lei ha detto che la forza della poesia cinese contemporanea consiste in una ‘difficoltà interiore’. E che ogni carattere è una trappola in cui cadono tutte le generazioni. Può spiegare questa affermazione?
Se ho capito bene la sua domanda, voglio dire che la natura della lingua cinese fornisce al poeta un limite speciale, sotto le pure speciali possibilità. Nel passato, anche se la tradizione è continuata, il poeta di base seguiva la storia della scrittura, costituita essenzialmente da forme fisse, ma senza una sua creazione. Ma oggi il poeta ha una esprienza legata alla contemporaneità. Penso che nessun contenuto filosofico sia abbastanza buono per la buona poesia. La buona poesia deve sempre essere in una forma molto creativa, che è basata sulla natura profonda del linguaggio. Così in altri casi, come in uno dei miei poemi più lunghi, si può vedere la struttura dell’intero gruppo di poesie, e di ciascuna poesia, di ciascun verso, e qualche volta di ciascun carattere. Essi hanno una natura individuale, ma funzionano anche insieme, come in un tutto. Così quello che in altri casi chiamo lo ‘spazio dell’intelligenza’ deve essere realizzato con molta attenzione, e questo è importante.

Cosa pensa dello scrivere poesia in un linguaggio che è così figurativa, e anche così così poco adatta a esprimere la logica astratta?
E’ proprio la natura essenziale della lingua cinese, e ancora oggi questa natura è ignorata dalla maggior parte delle persone, anche da molti cinesi. Da una parte la lingua cinese è molto concreta, si possono vedere immagini chiare. Ma per quanto riguarda l’astrazione, nel linguaggio cinese non c’è un equivalente della grammatica occidentale. Specialmente nel verbo, non si declina in base alla persona e ai tempi come nelle linque occidentali. Perciò il linguaggio non lavora sul movimento concreto, ma sulla ‘situazione’. E la situazione in realtà include tutte le persone che fanno quel movimento, e in tutti i tempi. Certo, in quel senso il linguaggio è astratto, ma secondo me questa è la meravigliosa opportunità di mostrare la profondità della vita dell’essere umano. Ci sono così tanti cambiamenti in superficie, ma nei nostri affetti nelle nostre situazioni, nei nostri sentimenti più profondi il ‘pesce nel mare profondo’ forse non cambia mai. Dunque la lingua cinese dà una possibilità speciale.

Tradurre poesia è sempre difficile. Tradurre poesia cinese, è qualcosa che può sembrare connotato da una frustrante approsimazione. Cosa ne pensa?
E’ molto vero. Io dico sempre che la traduzione della poesia cinese contemporanea è come una torre costruità dalla cima verso il basso, cioè una torre senza fondamenta. La dimensione, il numero di esperienze di traduzione tra il cinese e altre lingue, anche per livello della vita quotidiana, è molto limitata, decisamente minore dell’esperienza che c’è per esempio tra le lingue europee. Dunque tradurre la poesia cinese è una ‘sfida pericolosa’. Ma secondo la mia esperienza la discussione più profonda riguardo alla mia poesia non è stata tra me e un altro poeta cinese, e nemmeno tra me e un critico di poesia cinese, ma tra me e i miei traduttori. Perché loro non possono ignorare i dettagli più minimi, la natura del livello linguistico. E in realtà la mia poesia esiste solo a quel livello.

Lei ha scritto che la peculiarità della poesia è di fare domande. Ce n’è qualcuna che le ritorna in mente in modo particolare?
Una parte importante della mia esperienza di vita è stata politica. E scrivere dalla Rivoluzione Culturale e in tutti gli anni Ottanta fino alla tragedia del massacro di Tian’anmen, questa lotta politica per la democrazia è stato un obiettivo importante. Naturalmente, da quando sono in esilio anche l’idea politica è molto importante. Ma tornando indietro alla vera letteratura e cultura, essere dalla parte delle idee politiche corrette non è abbastanza. Io sottolineo sempre che anche se sono un poeta cinese, o sono stato un poeta cinese in esilio, non credo che la ‘poesia dell’esilio’ sia un concetto completo. Il giudizio di valore sulla poesia è solo un giudizio sulla poesia. Sono felice di vedere che ora la poesia in lingua cinese è viva, di nuovo riunita con la tradizione e con l’intera storia della poesia cinese. E c’è un dialogo con tutti i grandi maestri del passato. E questo io lo sento più confortante per quello che è la mia poesia.

Ho creato questo concetto degli ‘interroganti’, per me stesso e per tutti i poeti, partendo dal poeta cinese antico Qu Yuan. E’ stato il primo nome della storia della poesia cinese. In particolare ha scritto una poesia dal titolo Domande al Cielo, un poema basato su duecento domande. Lui fa domande che risalgono all’inizio dell’universo, seguendo tutto il percorso attraverso la mitologia, la storia, la politica; fino ad arrivare a se stesso. E senza nessuna risposta.

Biografia
Nato a Berna nel 1955, Yang Lian è cresciuto a Pechino. I genitori, due intellettuali che da giovanissimi avevano partecipato alla Guerra di Liberazione e avevano vissuto nell’epica base rivoluzionaria di Yan’an come interpreti di inglese, dopo il 1949 svolsero compiti diplomatici (nel 1955 erano appunto funzionari d’ambasciata in Svizzera) e accademici. A Yang Lian e ai suoi fratelli trasmisero l’amore per la letteratura e il gusto per le lingue straniere. Allo scoppio della Rivoluzione Culturale, nel 1966, Yang Lian aveva solo undici anni quando le scuole di tutto il Paese furono chiuse. Due anni dopo, i genitori vennero mandati, come quasi tutti i funzionari statali, per vari anni in campagna, ed egli restò solo a Pechino con la vecchia nutrice. Nel 1974 anche Yang Lian viene inviato in campagna come ‘giovane istruito’, esperienza che praticamente fecero tutti i diplomati di scuola media in Cina fin dal 1968.
Comincia a scrivere poesie dal 1976, anno della morte della madre e quello stesso anno ritorna a Pechino, dove trova lavoro in una casa editrice. Dal 1978 iniziano le pubblicazioni della rivista indipendente di poesia Jintian (Oggi) che riapre lo spazio inventivo della poesia cinese contemporanea, e nell’agosto del 1979 Yang Lian vi pubblica per la prima volta alcune sue opere. Su questa rivista pubblicano in quegli anni tutti i principali poeti contemporanei, conosciuti come menglong, ‘oscuri’: Bei Dao, Mang Ke, Gu Cheng, Duo Duo, Shu Ting, e molti altri. Yang Lian in quegli anni si dedica a una lunga serie di viaggi nelle regioni periferiche del paese.
Peculiarità stilistica di Yang Lian è la scrittura di poemi anche piuttosto lunghi, in contrasto con la quasi totale assenza di tradizioni epiche in Cina. Nel 1983 il suo poema Norlang (dal nome di una divinità tibetana) viene pubblicamente criticato dalle autorità culturali del governo, nel quadro della campagna ‘contro l’inquinamento spirituale’, il che ostacola la pubblicazione delle sue opere in Cina per più di un decennio.
Dal 1985 si dedica alla stesura del suo poema monumentale Yi, il cui titolo è costituito da un pittogramma inventato dallo stesso Yang Lian, composto dalla figura del sole sotto cui sta un uomo, a significare visivamente la compenetrazione del cosmico con l’umano. Il poema è strutturalmente organizzato attorno al Classico dei Mutamenti (Yi Jing) e ai 64 esagrammi di cui il testo arcaico analizza il contenuto divinatorio.
Nel 1986 Yang Lian compie un lungo viaggio in Europa e ad Hong Kong, al ritorno dal quale fonda assieme a Mang Ke il gruppo di poeti Xincunzhe (I sopravvissuti) e l’omonima rivista.
Nel 1989 in Nuova Zelanda, ad Auckland, si trova con il poeta Gu Cheng. Entrambi seguono con partecipazione il movimento degli studenti cinesi e gli avvenimenti del maggio-giugno a Piazza Tian’anmen, e condannano pubblicamente le scelte repressive del governo cinese. Per queste nette prese di posizione Yang Lian non potrà rientrare in Cina per vari anni e inizia così un lungo esilio in vari Paesi. Nel 1991 riceve una importante fellowship come artista residente della fondazione daad di Berlino. L’anno successivo risiede a New York presso la fondazione Yaddo. In questi anni di esilio scrive la serie di prose poetiche in stile sanwen dal titolo Guihua (Discorsi di fantasmi. Frottole).
Nel 1993 insegna lingua e letteratura cinese all’università di Sydney e compone un manuale sperimentale di cinese assieme alla moglie, la scrittrice Liu Youyou.
Nel 1994, dopo anni di esilio e di precarietà, ottiene un passaporto neozelandese e decide di stabilirsi a Londra grazie a un permesso di soggiorno come artista straniero residente.
Nel 1999 riceve in Italia il Premio Internazionale Flaiano. Negli ultimi anni, grazie a un clima ideologico e culturale molto più aperto, Yang Lian è ritornato più volte in Cina, dove le sue opere sono state pubblicate con grande rilievo.

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