Libano, siriani in fuga dalla guerra. Intervista a Giada Connestari

Last Updated on 28 Agosto 2018 by CB

Syrian refugees in Lebanon
Wavel Camp, Baalbeck, Libano – foto Giada Connestari

Un milione e mezzo di rifugiati. Tanti secondo l’Onu  saranno i profughi siriani registrati nel solo Libano entro la fine di quest’anno. Nel lavoro di Giada Connestari –  commissionato da OXFAM Italia per il progetto Follow the money de La Stampa –  si vede tutta la loro la loro drammatica precarietà, senza speranze, nella morsa della paura, come racconta  la stessa fotografa nell’intervista sotto. In mostra nello spazio dedicato ai progetti realizzati per le Ong al Festival della Fotografia Etica (fino al 26 ottobre). Fotogallery

Festival della Fotografia Etica – fotogallery

syrian refugees in Lebanon
Darim Etmar con la figlia Mouna. Jaleel Camp, Baalbeck, Lebanon – foto Giada Connestari

Intervista a Giada Connestari

Che situazione ha trovato tra i profughi siriani in Libano?
In Libano la condizione dei profughi è drammatica. Essi fuggono da una guerra violenta; hanno perso i propri cari; hanno visto la loro casa ridursi in un cumulo di macerie e, con il prolungarsi della crisi, stanno abbandonando anche la speranza di ritornare un giorno nella loro terra d’origine. Su questo trauma grava l’incapacità di un paese come il Libano di dare rifugio a più di un milione di persone. In Libano, infatti, non esiste un campo profughi ufficiale, e le famiglie sono costrette a cercare un alloggio. I prezzi degli affitti sono saliti alle stelle, così come quelli dei beni di prima necessità. Le scuole pubbliche libanesi sono incapaci di accogliere i piccoli siriani per mancanza di infrastrutture; l’offerta di lavoro si esaurisce in fretta in un paese dove commercio e turismo hanno subito una importante diminuzione proprio a causa dell’emergenza dei rifugiati e dell’instabilità della regione.

syrian refugees in Lebanon
Zgharta, Libano – foto Giada Connestari

E’ difficile in contesti di fuga dalla guerra trovare lo ‘spazio’ per uno scatto?
Lo ‘spazio’ non è proprio il termine esatto. Il vero ostacolo ad uno scatto è la PAURA. Paura di finire in un giornale ed essere riconosciute; paura della repressione del regime di Damasco, paura di mettere in pericolo la vita dei propri cari rimasti in Siria. Lei ha parlato di “fantasmi”, facendo riferimento alla fotografia di Muna, quella che apre l’esposizione. In un certo senso, davanti alla macchina fotografica, tutti vorrebbero diventare invisibili. Le donne sono pronte a denunciare con le parole la loro situazione; sono pronte a raccontarti che i loro mariti non sono riusciti a scappare o magari stanno ancora combattendo fianco a fianco con i ribelli. Ma la macchina fotografica spaventa chi ha appena rischiato la vita per fuggire, ed ora sta cercando di nascondersi da un regime sanguinario.

Che cosa cerca in un ritratto?
Le espressioni del volto umano sono immediatamente riconoscibili ad un altro uomo. I non addetti ai lavori possono forse avere difficoltà nel leggere ed interpretare il senso di una fotografia, dalla composizione più o meno articolata. Ma un volto umano è universale. Il messaggio arriva dritto dritto nelle emozioni di chi guarda senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Credo che questa sia la forza del ritratto.

syrian refugees in Lebanon
Bar Elias, Libano – foto Giada Connestari

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